Slot machine, affari all'ombra della Scu: sequestro da 3 milioni e mezzo. La difesa: «Accuse infondate, pronto l'appello»

Slot machine, affari all'ombra della Scu: sequestro da 3 milioni e mezzo. La difesa: «Accuse infondate, pronto l'appello»
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Martedì 6 Ottobre 2020, 08:44 - Ultimo aggiornamento: 19:40
I militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Lecce, coordinati dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia, sono impegnati in una vasta operazione antimafia (denominata operazione “Hydra”) nel Salento, in esecuzione di un provvedimento di confisca di prevenzione di un ingente patrimonio del valore di oltre 3,5 milioni di euro riconducibile a dei fratelli di Racale (Le), ritenuti socialmente pericolosi in quanto contigui ai clan della Sacra Corona Unita. Si tratta di Saverio e Pasquale Gennaro De Lorenzis. Escluso, nonostante il comunicato facesse riferimento a tre fratelli, il coinvolgimento di Pietro Antonio De Lorenzis.

Il provvedimento rappresenta l’epilogo delle indagini condotte dal Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Lecce e arriva dopo un lungo iter giudiziario iniziato con un provvedimento di sequestro poi impugnato dagli interessati con la conseguente temporanea restituzione dei beni. 

Le complesse indagini ed i successivi approfondimenti hanno, invece, dimostrato - secondo le determinazioni cui sono giunti i giudici nel provvedimento di confisca - la riconducibilità alla compagine salentina di una società a responsabilità limitata di Melissano, leader nel settore del gaming e delle scommesse che, al fine di “schermare” i proventi derivanti dal loro lucroso business del gioco d’azzardo, aveva appositamente costituito una nuova impresa solo formalmente intestata ai dipendenti di un’altra azienda “di famiglia” già, per altro, colpita da una misura interdittiva antimafia della Prefettura di Lecce.

Le investigazioni della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Lecce e dei finanzieri hanno, infatti, evidenziato la totale gestione delle attività imprenditoriali da parte del gruppo criminale “racalino” che ha provato a sviare le indagini, mascherandosi dietro compiacenti prestanome, per continuare ad imporre la propria leadership nella gestione del gioco d’azzardo, massimizzando i profitti anche grazie al ricorso alla manipolazione fraudolenta e successiva distribuzione di apparecchi  elettronici  in  grado di frodare non solo i giocatori ma anche il fisco, al quale sono stati sottratti centinaia di migliaia di euro di introiti fiscali, il c.d. Preu (prelievo erariale unico e tassazione sulle vincite).

I giudici leccesi, nel provvedimento, hanno precisato come le prove raccolte dagli investigatori siano state sufficienti a dimostrare il reimpiego nella società salentina, oggi confiscata, dei proventi illeciti ottenuti da precedenti gestioni, anch’esse finite nel mirino degli investigatori, in quanto sospettate di essere il frutto di un accordo mafioso tra imprenditori e appartenenti alla Sacra Corona Unita, in grado di garantire protezione e “penetrazione” commerciale in tutti territori gestiti dai clan, in cambio di spartizione di guadagni, assunzioni e “regalie” ai mafiosi, come ad esempio un prezioso anello in occasione delle nozze di una donna appartenente ad una delle famiglie di spicco della Scu gallipolina, ma anche auto e cure mediche agli altri componenti, o denaro nel momento della scarcerazione, quando maggiormente questi ne avevano bisogno, pagamento di avvocati, ecc.. Non sono mancate, inoltre, elargizioni a “fondo perduto” per finanziare iniziative imprenditoriali delle famiglie mafiose salentine, tra cui anche l’acquisto di strutture ricettive nella zona di Gallipoli, in cui la Sacra Corona Unita ha deciso di riciclare i proventi delle proprie attività delittuose.

La costituzione della nuova società, oggi confiscata - sottolineano i giudici leccesi - sarebbe avvenuta attraverso una macchinosa cessione di quote, fraudolentemente studiata a tavolino, tra i reali proprietari ed il loro prestanome, ad un prezzo talmente “vantaggioso” da essere “palesemente incongruo”, con un lunghissimo pagamento rateale, senza alcuna liquidità iniziale, secondo modalità “fuori mercato”, che non potevano avere altro fine se non quello di mascherare una cessione strumentale a nascondere i patrimoni agli eventuali accertamenti patrimoniali da parte degli organi investigativi, invece puntualmente arrivati. 



Il Tribunale di Lecce, considerata la cosiddetta “sproporzione” tra i redditi del titolare della società - come detto mero prestanome - ed il valore della stessa, e tenuto conto che, in realtà, questa altro non era che una ditta “pulita” creata ad hoc proprio per consentire la prosecuzione delle attività illecite del gruppo criminale salentino colpito da misure interdittive e di prevenzione antimafia, ha disposto, ai sensi della medesima normativa antimafia, il sequestro e la confisca di tutte le quote societarie nonché dell’intero compendio aziendale, costituito, tra l’altro, da oltre 1500 slot machine dislocate nel centro e sud Italia,  3 conti correnti e 22 automezzi, oltre che denaro contante rinvenuto dai finanzieri per circa 384 mila euro.

LA DIFESA: PREANNUNCIATO RICORSO
Con un intervento a cura degli avvocati difensori Francesco Fasano e Gabriella Mastrolia, i due fratelli De Lorenzis coinvolti nel provvedimento dei giudici intervengono per precisare la propria posizione. «Pur rispettosi del provvedimento emesso, non lo si condivide e l’appello lo si proporrà, fiduciosi di ottenere giustizia. Sulla pericolosità sociale di Pasquale e Saverio De Lorenzis, s’era già espresso il Tribunale di Lecce nell’ambito della misura di prevenzione n. 20/17, dell’8 ottobre 2019 e mai, in nessun caso, s’era potuta affermare la loro contiguità o vicinanza con la sacra corona unita o, genericamente, con qualsiasi associazione mafiosa. 
Mai s’è sostenuto, detto o scritto nei provvedimenti di giudici, che vi fosse un accordo tra gli imprenditori Saverio e Pasquale ed appartenenti alla Scu per garantire protezione o penetrazione commerciale nei territori gestiti dai clan. Mai s’è detto o scritto nei provvedimenti di giudici che Saverio e Pasquale abbiano spartito guadagni, effettuato assunzioni e “regalie” ad esponenti mafiosi, come un anello in occasione di un matrimonio o auto, o cure, o danaro al momento delle scarcerazioni. Tantomeno è risultato che Pasquale e Saverio abbiano mai pagato avvocati per “altri” o acquistato strutture ricettive in cui la Scu avrebbe riciclato alcunché».

In relazione alla confisca, aggiunge la difesa che «nessuno ha mai sostenuto l’esistenza di atti fraudolenti per frodare giocatori e fisco per centinaia di migliaia euro di introiti fiscali. E’ emerso pacificamente, viceversa, che Saverio e Pasquale De Lorenzis, abbiano osservato uno stile di vita lontanissimo da logiche mafiose ed abbiano denunciato puntualmente all’autorità giudiziaria le estorsioni, i ricatti e le minacce subite a cagione delle loro attività imprenditoriali. Queste circostanze sono state sempre riconosciute da Tribunali, Corti di Appello fino alla Suprema Corte di Cassazione a Roma».



 
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