Scu, droga ed estorsioni: 52 condanne in Appello. Pene pesanti ai “capi”

Final Blow, verdetto di secondo grado: il processo sui clan Briganti, Pepe e Penza

Scu, droga ed estorsioni: 52 condanne in Appello. Pene pesanti ai “capi”
Scu, droga ed estorsioni: 52 condanne in Appello. Pene pesanti ai “capi”
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Mercoledì 7 Giugno 2023, 21:30 - Ultimo aggiornamento: 8 Giugno, 16:57

Il verdetto all’una di notte, nell’aula bunker del carcere di Borgo San Nicola a Lecce per 53 imputati: 52 condanne fino a 30 anni di reclusione e una assoluzione. Confermate le condanne per i boss, rideterminate alcune pene. Si chiude così il processo di secondo grado nato dall’inchiesta e dall’operazione “Final Blow”. Un duro colpo che fu inferto dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Lecce (pm Giovanna Cannarile) e dai poliziotti della Squadra mobile che, con il blitz del 26 febbraio del 2020 che portò all’esecuzione di 72 arresti, ricordarono a tutti quanto la Scu fosse viva, forte, ricca ed anche ben infiltrata nell’economia. Con particolare riferimento a Lecce città.

La Scu con propagazioni nella gestione del parco Belloluogo, poi bloccate dall’interdittiva antimafia e dalla revoca di Palazzo Carafa.

In grado di effettuare pressioni su una impresa addetta alla sicurezza per inserirla nei servizi di guardiania dei locali e degli stabilimenti balneari. Pronta a formulare richieste estorsive ad un bar del centro e ad una discoteca del circondario di Maglie, a pretendere il pizzo da un B&B della città dove si esercitava la prostituzione. Richieste che non avrebbero risparmiato neppure una parte degli scarsi guadagni di un fruttivendolo ambulante. La Scu che ad agosto del 2017 provocò un incendio all’auto dell’allora comandante della stazione dei carabinieri di Surbo. E che risolveva i conflitti dello spaccio con pestaggi e minacce di gambizzazioni, che pretendeva di manipolare le scommesse in un centro e che sparò due volte contro le saracinesche di un bar perché il proprietario si rifiutava di testimoniare a favore di un adepto.

Le pene

Le pene più alte, sia in primo che in secondo grado, sono state inflitte agli imputati accusati di avere avuto ruoli apicali. A Marco Penza, , di Lecce: 20 anni di reclusione. Anche lui, come gran parte degli imputati, incastrato dal “captatore telefonico”. Il trojan, una microspia digitale nello smartphone che ha consentito di documentare le consegne di droga a rampolli di famiglie benestanti leccesi come anche le esternazioni sui tanti soldi guadagnati da non sapere più cosa farsene. Trent’anni (in continuazione con un’altra sentenza) per Antonio “Totti” Pepe, ritenuto con Penza, il referente sul territorio del clan del boss ergastolano Cristian Pepe. Per quest’ultimo e per il suo “omologo” Pasquale Briganti, quattro anni a testa. Dodici anni a Manuel Gigante, indicato come l’uomo impiegato dal clan per le estorsioni ed i regolamenti di conti. Tredici anni per Valentino Nobile (ma in continuazione con un’altra sentenza). Assolto Antonio Giannone, di Vernole. La Corte (presidente Vincenzo Scardia) depositerà le motivazioni entro un termine di novanta giorni. Dopodiché i difensori potranno eventualmente impugnare la sentenza in Cassazione.

Il collegio difensivo è composto, tra gli altri, dagli avvocati: Francesco Vergine, Antonio Savoia, Ladislao Massari, Giancarlo Dei Lazzaretti, Luigi Corvaglia, Silvio Verri, Mariangela Calò, Francesco Fasano, Raffaele Benfatto, Luigi Rella, Roberto De Mitri Aymone, Giuseppe Presicce, Cosimo D’Agostino, Roberto Pascariello, Pantaleo Cannoletta, Marco Caiaffa, Rita Ciccarese, Paolo Cantelmo, Mario Coppola, Anna Inguscio.

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