Tanisi, l'intervista: «La magistratura? La intendo come un servizio»

Roberto Tanisi
Roberto Tanisi
di Roberta GRASSI
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Giovedì 12 Ottobre 2023, 05:00

Presidente Roberto Tanisi, il Plenum del Csm ha votato per lei all’unanimità per la funzione di presidente del Tribunale che ricopre già, di fatto, da tre anni. Si chiude una vicenda lunga e tribolata. È soddisfatto?
«Certamente sono soddisfatto perché la nomina costituisce, in un certo senso, il coronamento di un impegno – quello di magistrato – protrattosi per oltre 42 anni. Come ha detto lei, si chiude una “vicenda lunga e tribolata” (non per colpa mia), sulla quale, comunque, non intendo soffermarmi (anche se ne è derivata qualche amarezza che ho provveduto a bypassare). Ricordo solo che quella di oggi è la seconda nomina, perché già il 29.7.2020, il Csm mi aveva chiamato a presiedere il Tribunale di Lecce. Cosa che faccio ininterrottamente dal sette settembre dello stesso anno».

Ha atteso serenamente, questa volta, il voto del Plenum: cosa cambierà da domani?
«Nulla. Da domani non cambierà nulla. Ieri reggevo l’Ufficio e lo farò anche domani. Con l’impegno di sempre. Diceva il Mahatma Gandi: “La soddisfazione sta nell’impegno, non nel conseguimento. Un impegno totale costituisce già una piena vittoria”».

Cosa significa, cosa comporta presiedere un Tribunale come quello di Lecce, un territorio particolare, con molte sfaccettature e un tessuto economico che produce senza dubbio contenzioso?
«Il Tribunale di Lecce è considerato (dal Csm e dal Ministero) Tribunale di grandi dimensioni. Vi operano 66 magistrati (compreso il Presidente) e circa trecento amministrativi. È un Tribunale distrettuale, dunque si occupa come gip, Riesame e Prevenzione antimafia delle misure che riguardano tutto il distretto (Lecce, Brindisi e Taranto). Come lei bene ha detto, si tratta di un territorio dalle molte sfaccettature, con un tessuto economico di una certa importanza, anche a causa del boom turistico che negli ultimi anni ha interessato tutto il Salento, ma anche con problematiche afferenti alla perdurante presenza di una criminalità (non solo quella organizzata) piuttosto pervasiva».


La sua nomina, salvo modifiche di legge, durerà fino a fine novembre: è una certificazione, più che un nuovo inizio. Ma quali sono state le sfide più importanti di questi anni? E i risultati raggiunti?
«Si è vero, la nomina giunge a un passo dal collocamento a riposo (ma ci sono ancora 46 giorni). In un certo senso è servita a “chiudere il cerchio”, ad oltre tre anni dalla prima. In questi anni non è stato semplice reggere l’Ufficio. Intanto per la rilevante mole di lavoro che grava sullo stesso, tanto in civile quanto in penale. Poi, grazie anche alla collaborazione del Dirigente amministrativo, si è cercato di dare all’Ufficio un nuovo assetto, che tenesse conto delle peculiarità di un tribunale distrettuale (per esempio con l’accentramento tabellare delle misure di prevenzione e del Riesame in una sola Sezione), ma si è anche posto l’accento sulla trasparenza, per far sì che il Tribunale sia una casa di vetro: sul sito internet del Tribunale è stato realizzato un settore denominato “amministrazione trasparente”. In questi anni si è confermato – ed anzi rafforzato – il rapporto privilegiato con l’Avvocatura, nella consapevolezza che gli avvocati costituiscono uno dei pilastri su cui si regge l’amministrazione della Giustizia. Certo, non è mancata qualche frizione, ma si è trattato di frizioni fisiologiche che hanno poi trovato la giusta soluzione. 
Una sfida importantissima è stata quella dell’Ufficio del processo, che ha consentito di migliorare sensibilmente le performance dell’Ufficio quanto a riduzione delle pendenze, in civile e penale, miglior disposition time (durata dei procedimenti), ma anche un servizio più efficiente per l’utenza. Anche nell’ultimo anno, pur con le severe criticità dovute alle vacanze ed assenze d’organico, i risultati sono stati più che soddisfacenti, come ho avuto modo di evidenziare nella Relazione al Presidente della Corte per la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario».

Quali le criticità che ha dovuto affrontare e quali le problematiche che necessariamente si presenteranno nei prossimi mesi?
«Le maggiori criticità, come si desume dalla risposta precedente, sono quelle dovute alle vacanze o assenze di magistrati, molto verosimilmente destinate ad aggravarsi nei prossimi mesi per via di alcuni trasferimenti. Se mancano i Giudici serve a poco avere gli addetti all’Ufficio del processo. Si tratta, in realtà, di un problema generale, che riguarda tutto il Paese, perché in conseguenza dell’emergenza pandemica da Covid-19 per due anni non si sono tenuti concorsi – e dunque non vi sono stati innesti di nuovi magistrati – mentre, al contrario è proseguito l’esodo dei magistrati più anziani che hanno raggiunto la soglia del collocamento a riposo. Si consideri che tale situazione si aggravò già in conseguenza del provvedimento del Governo Renzi che, dall’oggi al domani, ridusse l’età pensionabile da 72 a 70 anni e che i successivi concorsi non riuscirono a sanare, coprendo le vacanze. Ora si è ulteriormente aggravata».
 

Avrà ricevuto molti messaggi dai colleghi che non hanno mai nascosto, come per altro si legge nel parere del consiglio giudiziario, la stima nei suoi confronti non solo per le qualità professionali, ma anche per le doti umane. Come ha risposto?
«Ho ringraziato.

Ho sempre ritenuto – e ritengo – che il lavoro del magistrato, per quanto si esplichi in un potere, debba essere considerato un servizio che il cittadino-magistrato rende agli altri cittadini. Vi una frase di Vaclav Havel che mi pare si attagli benissimo alla funzione magistratuale, come io la intendo: “Il potere dei senza potere”. Forse anche per questo ha ricevuto numerose attestazioni di stima, dai colleghi, ma anche da comuni cittadini. Attestazioni che – siamo umani – fanno ovviamente piacere. Tanto più in tempi nei quali la magistratura è perennemente sotto attacco (Catania docet). Ma bisogna fare attenzione a n on delegittimare la magistratura perché – come ha scritto Ferrarella sul Corriere della Sera – il magistrato è chiamato ad operare “sine spe ac sine metu” (senza speranza né timore), perché questa è la precondizione su cui riposa la fiducia dei cittadini. Un magistrato intimidito, che nel decidere, si ponga anche solo il problema inerente questo antico brocardo latino, non sarà più imparziale e ciò si tradurrà inevitabilmente in un grave vulnus per la democrazia».

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