D'Andria, nuovi indizi sugli scavi a Castro

D'Andria, nuovi indizi sugli scavi a Castro
di Anna MANUELA VINCENTI
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Venerdì 26 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 27 Gennaio, 14:50

Atena torna protagonista della scena archeologica pugliese e non è detto che resterà sola a lungo: le tracce che stanno man mano venendo alla luce dagli scavi portano infatti all’ipotesi di più cariatidi.
L’inaugurazione del 45esimo anno accademico della scuola di Specializzazione in Beni Archeologici “Dinu Adamesteanu” dell’Università del Salento con il convegno “L’eredità di Taranto. La scultura tra il IV e il III sec. a.C” svoltosi tra mercoledì e giovedì nella sede del rettorato di Lecce è stata l’occasione per far conoscere al mondo accademico e agli studiosi la bellezza e la magnificenza della scultura tarantina con un focus sulle testimonianze emerse a Castro nel corso degli anni, che vedono protagonista la colossale statua della dea Atena. 
Padrone di casa indiscusso è stato l’archeologo Francesco D’Andria docente emerito di Archeologia classica dell’Università del Salento nonché Accademico dei Lincei e per 25 anni direttore della scuola di specializzazione alla cui guida fu successore proprio di Dinu Adamesteanu a cui la scuola stessa è intitolata.
Professor Francesco D’Andria, lei ha promosso questa due giorni molto intensa, come è nata l’idea di riunire a Lecce studiosi provenienti dalle più importanti università italiane ed estere? 
«Si tratta di un incontro di studio nato nell’ambito della mostra “Athenaion. Tarantini, Messapi e altri nel santuario di Atena a Castro”, allestita dal 20 gennaio 2023 al 30 ottobre 2023 al Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Grazie alla collaborazione della ex direttrice del MarTa Eva Degl’Innocenti, che ha permesso di esporre a Taranto importanti ritrovamenti delle sculture di Castro».


Perché è stata tanto importante quella mostra?
«Quella mostra, oltre ad avere molto successo di pubblico, è stata anche prorogata l’apertura sino al 30 ottobre e originariamente prevista per il 30 di giugno, ebbe un interesse particolare proprio per la possibilità di confrontare i materiali rinvenuti nelle campagne di scavo di Castro con quelli di Taranto. Sono stati 111 i reperti di varie dimensioni portati al MarTa per essere messi in connessione e analizzati con le grandi statue e con i materiali presenti a Taranto». 


Di cui si parla anche in questa due giorni, ovviamente.
«Il tema dell’incontro delle due giornate di studio ha riguardato un periodo della storia dell’arte e della cultura che è il IV e III secolo a Taranto, in un contesto segnato dalla presenza di grandi personalità come Archita nel campo della politica e della filosofia e segnato nella città dei due mari anche dalla presenza di un gruppo di scultori al seguito di Lisippo, sulla fine del IV secolo a.C. Il convegno ha approfondito le modalità, la costituzione delle officine della scultura sulla base delle fonti letterarie e dei materiali, in stretta relazione con committenze pubbliche e private.

L’impatto delle creazioni artistiche tarantine è stato analizzato da una prospettiva multidisciplinare che ha permesso di riconoscere la trama e le relazioni con i diversi ambiti del mondo indigeno e con la realtà centro italica, della Grecia e dei grandi centri di produzione scultoree del Mediterraneo». 


Uno dei due giorni era dedicato alle scoperte di Castro. La Dea Atena di Castro rimane protagonista, anche senza la testa, quali novità ci sono sulle ricerche?
«È ancora acefala e speriamo di ritrovar presto la testa, l’Atena di Castro con i suoi 3,40 metri è una delle statue più colossali i in pietra leccese mai realizzate nel Mediterraneo. Ma dagli ultimi scavi è emerso che molto probabilmente non è l’unica, e che potrebbe trattarsi della cariatide di un pronao di un monumentale sacello».


Questo cambierebbe radicalmente lo scenario. Che elementi avete per ipotizzare che si tratti di una cariatide?
«Sono stati ritrovati altri quattro basamenti con i relativi piedi colossali, appartenenti ad almeno due altre statue delle stesse dimensioni. Parti di statue ugualmente colossali che fanno pensare a una serie di cariatidi. Si tratta di dimensioni decisamente maggiori di quelle ritrovate a Vaste ma realizzate probabilmente dalla stessa officina. Alcuni frammenti sono numerati e questo confermerebbe questa ipotesi. Tutto ci fa supporre che queste statue facessero da sostegno alla costruzione di un recinto decorato con i girali abitati. Una complessa sequenza di steli vegetali, fogliame, corolle, calici sovrapposti con spighe, fiori, nastri che accolgono figure umane, vittorie che portano corone, teste femminili, con capigliature e gioielli, nascenti da cespi di acanto, e poi uccelli e altri animali».


Di questa complessa ricostruzione sono emersi altri frammenti determinanti?
«Di questi elementi nella prima fase delle ricerche erano stati ritrovati frammenti per circa otto metri, negli ultimi scavi abbiamo ritrovato ulteriori pezzi e la lunghezza è quasi raddoppiata arrivando a circa 16 metri. Gli elementi al momento a nostra disposizione farebbero pensare a un recinto con queste decorazioni scolpite a girali che farebbero da perimetro in alternanza con le statue». 


Ci sono connessioni tra queste sculture e la città di Castro?
«Sotto la chiesa dell’Annunziata di Castro recentemente abbiamo trovato una cisterna di acqua lunga trenta metri in cui sono presenti sia acqua piovana sia acqua di risalita, questo ci fa pensare che l’intera città di Castro fosse un’area di culto. I tre ettari della città potrebbero rappresentare una grande e diffusa area di culto quindi tutti gli elementi sarebbero strettamente connessi tra loro». 

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