Einaudi: «L'arte può tornare a volare alto, ma la cultura non sia sempre maltrattata»

Einaudi: «L'arte può tornare a volare alto, ma la cultura non sia sempre maltrattata»
di ROSARIO TORNESELLO
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Domenica 17 Maggio 2020, 10:29 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 12:31
Le note ancora vibrano nell’aria. Quella ricerca di suoni, lunghi, profondi; quella vicinanza di mondi lontani e inaspettatamente vicini. La sorpresa è un modo di riprodurre l’universalità delle emozioni, sulla terra dura e arsa, sulle pietre sovrapposte e allineate, una ad una. Le parole sono il graffio di voci diverse, tutte insieme, tutte qui. Non c’è solo la contaminazione dei generi, ma anche la contiguità degli elementi nella successione dei toni, gradazione dell’anima sensibile. Tra battere e levare, il potere liberatorio della trance è l’energia della taranta e viceversa. La musica è pura magia oltre i capricci dell’uomo e le ribellioni della natura. E noi ancora qui. Incantati da una Notte che non passa. Mentre un’altra, per fortuna, al contrario finisce.
Maestro Ludovico Einaudi, abbiamo vissuto due mesi come mai nessuno si sarebbe immaginato. Domani, 18 maggio, il lockdown allenterà di molto la sua morsa. Come e dove, e con quale spirito, ha passato questo tempo di quarantena, così lungo e difficile?
«Devo dire che, al di là del risvolto drammatico che hanno vissuto le molte persone colpite, dopo un iniziale adattamento ho avuto una fase molto positiva in isolamento sulle Alpi con la mia famiglia, dove ero andato per trascorrere una settimana e dove ho poi deciso di restare quando c’è stato il lockdown. Arrivavo da un lungo periodo di grandi viaggi e tanti concerti in giro per il mondo, è stata l’occasione per fermarmi».
Il nord è stato particolarmente toccato dall’emergenza coronavirus. Le terribili immagini viste in tv rimarranno per sempre nella memoria collettiva. Qual è stato, e qual è ancora in questi giorni, il suo rapporto con la paura e col dolore?
«Per natura tendo a essere positivo anche quando le situazioni sono drammatiche. Ovviamente, trattandosi del mio paese e delle regioni in cui abito, sono rimasto molto toccato».
Per gli artisti, in particolare, un periodo oltremodo complicato: da un lato le preoccupazioni di tutti, dall’altro il tempo lungo della riflessione. Dov’è lo spazio per la creatività?
«Credo che per molti miei colleghi meno fortunati di me sia stato e sarà un periodo molto difficile. In Italia, a differenza di altri settori, non c’è alcuna tutela per i lavoratori dello spettacolo. I liberi professionisti in Germania hanno avuto un aiuto dallo Stato di 5.000 euro. Per me è stato ed è ancora un momento di riflessione, sto scrivendo tanta musica con la concentrazione che vorrei avere sempre».
C’è una melodia, sua o di autori diversi, che più di altre le ha fatto compagnia nelle settimane dell’isolamento?
«Ho ascoltato poca musica in questo periodo. Quando scrivo preferisco isolarmi».
L’arte, soprattutto quella vissuta e goduta nei grandi spazi, all’aperto o al chiuso, paga il prezzo più alto, destinata com’è a essere l’ultima a riprendere il proprio cammino. Come immagina la ripartenza?
«Ci vorrà del tempo per ritornare a condividere gli spazi in modo sereno. Non mi piace l’idea di fare o ascoltare musica in condizioni di mezza emergenza, in uno spazio con delle limitazioni di accesso e distanziamenti. Preferisco aspettare che passi del tutto questa situazione e nel frattempo immaginare cose alternative. La tecnologia ci ha comunque permesso di continuare a suonare anche in questa fase complicata».
Si aspettava maggiore vicinanza da parte delle istituzioni al mondo dell’arte, della cultura e dello spettacolo? E anche parole diverse da quelle pronunciate dal governo?
«Capisco che non sia facile gestire una situazione di emergenza come quella che c’è stata, ma penso che la cultura da noi sia sempre troppo in secondo piano».
La creatività è chiamata a raccogliere e a suscitare emozioni. Come si rifletterà questo periodo sulla produzione artistica? E lei, in particolare, ha già pensato a qualcosa?
«Ognuno risponderà a proprio modo, l’arte migliore vola alta al di sopra dei ritmi della terra. Sto scrivendo due diari, uno di parole e uno musicale, giorno dopo giorno».
La musica, appunto: è linguaggio universale, capace di parlare a tutti. Crede che la pandemia abbia accorciato le distanze del mondo, coinvolti come siamo indistintamente nella stessa emergenza, o invece acuito la diffidenza tra gli individui?
«La pandemia, da un lato, ci ha fatto sentire tutti uguali: globalmente nessuno è al sicuro davanti al virus. Dall’altro, ha sicuramente distanziato le persone che ora si osservano con sospetto e prudenza, per non parlare del dramma economico che molti stanno vivendo».
Cosa impareremo alla fine della grande paura, come uomini e come abitanti di questo pianeta?
«Chissà... Forse ci sarà una divisione di vedute: quelli che non vogliono sapere altro che tornare a tutto com’era prima e altri, in cui mi riconosco pienamente, che hanno riscoperto una vita più semplice, che non ha bisogno di tutte le cose inutili che compriamo e accumuliamo giorno dopo giorno. Parlo anche dello spreco e del conseguente degrado ambientale. Io spero che siano in molti a ribellarsi, ma temo che non sarà così».
L’emergenza ci porta a rallentare, prima fino a fermarci e ora a ripartire con cautela. Come immagina la vita quando riprenderà la sua corsa? Di cosa ci sarà maggior bisogno e cosa, al contrario, potremo lasciare al passato?
«È proprio l’idea di riprendere la corsa, la corsa folle in cui eravamo finiti, quasi un gorgo maledetto, che non mi piace. Bisognerebbe invece pensare che la vita riprenda con un passo più lento, con meno necessità superflue e più tempo per fare le cose in modo approfondito. L’idea di un tempo legato a dei ritmi più vicini a quelli della natura».
Lei è stato per due anni il maestro concertatore della Notte della Taranta, nel 2010 e nel 2011: festa popolare, partecipazione di massa, contaminazione di generi e incontro di popoli. Tutti paradigmi messi in crisi dalle misure di contenimento della malattia. Cosa ne sarà di questo evento e di tutti i suoi simboli?
«Certo, quello è stato un periodo straordinario per la rinascita di una tradizione popolare che stava per scomparire. Le feste in piazza nei paesi salentini sono tra i ricordi più belli che ho. Per me, più che contaminazione di generi, è stato mettere in luce la ricchezza culturale di quel repertorio cercando nelle sue radici le ramificazioni con altre culture. Prima di poter riprendere penso che ci vorrà un po’ di tempo, come per tutto, del resto. Spero che anche in questo caso la ripresa sia per migliorare le cose».
Lei non ha mai chiuso i rapporti con la pizzica e la taranta. Che valore dà a questa musica? E quale futuro prevede per essa?
«Per me è stata la più bella e profonda esperienza di approfondimento di una cultura musicale popolare e sono rimasto in ottimi rapporti con tutti i musicisti. Con alcuni di loro ho continuato a collaborare. Con Mauro Durante, che è stato fondamentale per la Notte della Taranta, collaboro da molti anni; con Riccardo Laganà siamo stati in tour per un lungo periodo, mentre con Redi Hasa se non ci fosse stato il lockdown in questo momento saremmo in giro per concerti. Dentro quel repertorio c’è un grande valore, in ogni canzone c’è un pezzo di storia e cultura, le conquiste, le guerre, gli amori, gli affanni, un patrimonio che va mantenuto vivo e attivo, che richiede dedizione, approfondimento e lavoro. Sarebbe bello creare un centro di ricerca e didattica collegato al festival della Notte della Taranta».
Lei ha lasciato un ottimo ricordo qui. E questa terra, invece, cos’ha lasciato in lei?
«Quando sono venuto in Salento la prima volta ho ritrovato un pezzo di Italia che mi mancava, che altrove non c’era più. Un’Italia semplice, più calda e accogliente, legata alle sue tradizioni».
Il turismo è in ginocchio. Molti sono già proiettati al 2021. Puglia, e Salento in particolare, avevano scommesso quasi tutto su questo comparto. Da dove potremo ripartire per essere ancora una tra le mete più ambite? Quali i nostri punti di forza e quali, al contrario, di debolezza?
«Difficile rispondere, forse l’occasione di avere meno presenze potrebbe migliorare la qualità dei luoghi. In generale trovo che ci sia troppa gente dappertutto. Io preferirei andare al mare due ore con meno bagnanti piuttosto che otto in mezzo alla massa. Punterei a un turismo più organizzato e selettivo».
Maestro, un’ultima domanda che è un po’ anche un impegno: quando tornerà a suonare da noi?
«Spero presto. Bisogna solo trovare una buona soluzione poetica per creare una bella atmosfera. Insomma: la sensazione non sia quella che stai suonando con in testa ancora la paura del virus, ma che stai suonando con in testa solo il pensiero dell’amore».

 
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