Mesagne, il boss condannato a 5 anni: «Chiese il “pizzo” sulla droga»

Il Tribunale di Brindisi
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Giovedì 14 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:01

Libero nel 2018 dopo avere scontato 30 anni di reclusione, anche in regime di carcere duro, il 41 bis, arrestato nel blitz del 2020 e condannato ieri a cinque anni di reclusione. Stiamo parlando di Giovanni Donatiello, 62 anni, di Mesagne, conosciuto con il soprannome di “5 lire” e finito sotto processo con l’accusa di avere cercato di estorcere una somma di denaro fra i 25mila ed i 60mila euro, anche minacciandolo con una pistola, al francavillese Pierluigi Chionna a titolo di “spartenza” - recita così il capo di imputazione - dei traffici di droga sulla piazza di Oria gestita da Fabrizio Russo della frangia mesagnese di Donatiello: «Tu fino ad ora hai fatto e non hai dato niente....tutto di nascosto hai fatto in passato», una intercettazione.

La pm antimafia: «Condannatelo a 6 anni»

Il collegio giudicante (presidente Maurizio Saso, a latere Ambrogio Colombo e Leonardo Covertini) lo ha ritenuto responsabile dell’accusa sostenuta nell’aula Metrangolo del Tribunale di Brindisi, dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Giovanna Cannarile, titolare dell’inchiesta condotta con la polizia di Stato. Sei anni, la richiesta dell’accusa mentre gli avvocati difensori Marcello Falcone e Dario Budano hanno invocato l’assoluzione sostenendo che non si fosse formata la prova nel dibattimento in aula ed anche la non attendibilità delle parole di chi ha accusato Donatiello di essere stato il mandante di quelle richieste di denaro.
Tre mesi il termine indicato per depositare le motivazioni della sentenza, intanto il dispositivo ha disposto sia la sospensione dei termini di custodia cautelare che l’interdizione in perpetuo dagli uffici pubblici.
Il processo, intanto, ha avallato la tesi dell’accusa, in attesa del pronunciamento dell’ultimo grado di giudizio (fino a quel momento vale la presunzione di non colpevolezza): sebbene Donatiello una volta tornato libero avesse intrapreso un percorso di reinserimento sociale con incontri nelle scuole, la redazione di un giornale e trovando anche un lavoro, dietro le quinte, tuttavia, avrebbe ripreso in mano la gestione del malaffare più produttivo: la droga.

Le minacce

Per fare questo - ha accertato il processo di primo grado - avrebbe mandato in giro i suoi uomini nella provincia di Brindisi sotto l’influenza della Scu mesagnese: fra aprile e maggio 2019 Chionna sarebbe stato avvicinato da Fabrizio Russo. E si sarebbe rivolto in questi termini: «Te lo sto dicendo in faccia, non tengo problemi, non mi metto più a guardare in faccia a nessuno. È finito tutto, tutto è finito». Ed ancora: «Ora vai a prendere 25mila euro e me li porti e non me ne fotto. Ti sto dicendo, vuoi arrivare ad un accordo? Oggi stesso portami 25, non ne voglio 50. Dobbiamo fare i conteggi Vedi che se facciamo i conteggi poi con questi devi pagare».
Nelle carte dell’inchiesta si cita un incontro sulla superstrada Mesagne-Latiano del 20 aprile 2019, quando a Chionna sarebbe stata puntata una pistola alla testa e gli sarebbe stato ricordato il coinvolgimento e lo spessore criminale di Giovanni Donatiello. Ed anche un incontro del 27 maggio per sollecitare Chionna a dare una risposta.
Perché i solleciti a Chionna? Perché - ha fatto presente l’accusa - era stato il referente di un’organizzazione albanese che ha importato nella provincia di Brindisi partite di eroina e cocaina provenienti dalla Turchia e dall’Olanda.

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