Manni, trent'anni di libri e passione

Manni, trent'anni di libri e passione
di Ilaria MARINACI
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Venerdì 30 Maggio 2014, 12:25 - Ultimo aggiornamento: 12:26
Potevamo decidere di aprire una trattoria tipica, invece abbiamo fondato una casa editrice. Era il 1984 e in un Salento che Carmelo Bene definiva come “il sud del Sud dei santi”, ben lontano dalla meta turistica gettonata di oggi, Piero e Anna Grazia Manni avviarono la loro impresa culturale che taglia il prestigioso traguardo dei trent’anni di attività. Trent’anni di incontri e di aneddoti, di successi e di difficoltà, che hanno accompagnato l’evoluzione di questo territorio, mantenendo la barra sempre dritta sull’importanza della lettura e del libro. E proprio “I libri che fanno diventare grandi” è il tema della conversazione che Manni e la figlia Grazia terranno con Piero Dorfles, questa sera, ai Cantieri Koreja, alle 19, per festeggiare questo trentesimo compleanno della casa editrice. Ricordi e riflessioni che saranno intervallati dalla letture a cura dell’attore Fabrizio Saccomanno.

«Pur con tutte le difficoltà della piccola editoria, siamo orgogliosi di essere ancora qui - dice Piero - e di aver dato un piccolo modesto contributo alla crescita culturale del Salento».



Come è cominciata questa avventura nell’editoria?

«Se avessimo voluto fare un’azienda purché sia, avremmo potuto, in effetti, aprire qualcos’altro legato al territorio, ma il punto è che siamo sempre stati innamorati dei libri. Io ero reduce dall’esperienza lavorativa precedente presso l’editore Antonio Milella, che è stato il mio maestro e una figura centrale nella cultura leccese, della cui importanza oggi si parla poco. Quindi, la nostra casa editrice è nata da questo mio precedente, dall’amore per la letteratura di mia moglie Anna Grazia e dal fatto che ci siamo riciclati dall’impegno politico ad un impegno sociale più indiretto. Diciamo che è stata quasi una continuazione del nostro impegno civile».



Qual è stato il primo libro che avete pubblicato?

«“Segni di poesia, lingua di pace”, nel quale i maggiori poeti di allora - Sanguineti, Luzi, Volponi e altri - hanno scritto delle poesie sul tema della pace. Bisogna tenere presente che eravamo a metà degli anni Ottanta e le tensioni internazionali erano molto più forti e diffuse di quelle di oggi. Questo tema, quindi, era particolarmente sentito».



Tante sono state le tappe importanti che hanno scandito la vita della vostra casa editrice...

«Il momento in cui abbiamo avuto una distribuzione nazionale, innanzitutto. Prima facevamo libri molto recensiti, di cui si parlava su tutti i giornali, ma che non si trovavano in libreria. Sopperivamo con una distribuzione diretta verso un’ottantina di librai che avevamo selezionato, ma era difficile rifornirli quando finivano le copie e pure recuperare il denaro delle vendite. Poi siamo passati ai distributori regionali finché abbiamo capito che, se non hai una distribuzione nazionale, è come se non esistessi come editore e siamo approdati alla Pde. Un’altra tappa fondamentale è stata il rientro delle figlie dall’Università, Grazia e Agnese, che hanno iniziato a lavorare nella casa editrice, segnando il passaggio da una piccola avventura familiare artigianale ad una vera azienda. Infatti, all’inizio la sede della casa editrice era proprio casa Manni e preparavamo i libri nel soggiorno, mentre ricordo che in cucina scrivevamo gli indirizzi a mano - aiutati anche da Giovanni Pellegrino - per spedire duemila copie della rivista, che è stata la nostra prima creatura. Non so dire oggi se il divertimento di fare i libri sia maggiore o minore della fatica».



Ma fare i libri quanto è ancora importante in questo panorama culturale?

«A parte la difficoltà che hanno quelli della mia età possono avere per i libri digitali, la carta stampata stabilisce un rapporto di fisicità con il libro. Si sottolinea, si torna indietro, ci si ferma a riflettere senza che lo schermo si spenga. Aldilà di questo, però, la funzione della lettura rimane la stessa, sebbene a mio parere passeranno ancora dei secoli prima che il libro cartaceo venga sostituito da quello digitale».



Qual è stato il momento più bello di questi trent’anni?

«Ce ne sono stati tanti, legati soprattutto alla nascita e allo svilupparsi di relazioni intellettuali ed umane con alcuni grandi scrittori e poeti della seconda metà del secolo scorso, come Paolo Volponi, Maria Corti, Edoardo Sanguineti. L’elenco per fortuna è lungo».



E un episodio curioso che le piace ricordare?

«Una volta, sono stato a trovare Alda Merini che era reduce da un’operazione all’anca e si denudò completamente per mostrarmi la ferita. E poi commentò che a mia moglie - che era andata a farle visita qualche settimana prima - non l’aveva mostrata “perché lei è una donna”».



Per concludere, che cosa si augura per i prossimi trent’anni di Manni?

«Mi auguro che il livello del dibattito culturale in Italia torni ad essere quello che era pochi decenni fa perché solo così una casa editrice può crescere e continuare a dare il suo piccolo contributo».
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