Visti da (molto) vicino/ De Cataldo:
vincere, la parola d'ordine della cultura

Visti da (molto) vicino/ De Cataldo: vincere, la parola d'ordine della cultura
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 16 Febbraio 2014, 20:05 - Ultimo aggiornamento: 23 Marzo, 18:03
I russi, i russi. Gli americani. Non proprio come dire il Libanese, il Nero, il Secco, ma quasi. Il ritmo casuale. I rimandi apparenti: per quanto a sentirla cos le somigli, no, non “Futura”. Di pi: non neppure canzone, ma testo. Anzi: testi. La biografia personale è scissa dal romanzo criminale, e tuttavia i nomi pesano, i ruoli contano. E le esperienze segnano. Il personaggio strimpella la chitarra, all’occorrenza s’improvvisa cantante, ma sul tema Lucio Dalla era altra cosa. Sia: quella non è una citazione, è una scansione. Scansione temporale. Meglio: letterale. Giancarlo De Cataldo. Sì, lui. Magistrato nato e cresciuto a Taranto, scrittore, autore, sceneggiatore e adesso anche giurato in Rai con Masterpiece, ché i talent - ora - altro che fornelli e stornelli. De Cataldo. Fresco di compleanno. E prossimo al varo di una nuova opera, annunciata da tempo e attesa non poco, “Il combattente”, omaggio a Pertini (e a un’altra Italia, diciamolo).



I russi, i russi. Gli americani. I primi li ricorda lui. Un po’ ci scherza, ma non più di tanto. Gli altri li aggiungiamo noi. Anzi la critica. Vabbè, siamo sinceri: di nuovo lui. L’uomo guadagna la scena, comunque lo si ponga. In questo, pochi rivali. Un catalizzatore naturale: lo metti al centro ed è subito spettacolo. Un affabulatore. Un narratore d’altri tempi. Comunque: si parte da Est, si arriva a Ovest. La politica c’entra poco e nulla. La guerra fredda, i blocchi contrapposti: nulla. Sembrerà strano, ma è così. La mamma, invece, c’entra. C’entra tanto. Tantissimo. «Quest’anno studiamo i russi», gli diceva da ragazzo. Insegnava Lettere al liceo, a Taranto. Il padre, invece, Francese. Figlio unico, formazione rigorosa. Letture programmate e cadenzate. Perciò cultura vasta, percorso netto. Aggiungi una propensione naturale alla scrittura, una capacità straordinaria di mandare tutto a memoria ed è fatta. Poi dicono. Ma i russi, ecco, devono aver segnato il giovanotto. Al punto che per il suo capolavoro, “Romanzo Criminale”, il riferimento immediato non solo è evidente ma è anche dichiarato: James Ellroy, americano di Los Angeles. Tutt’altra biografia. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Vero.



«Giancarlo?». Tonino De Giorgi e Giulia Galli sono gli amici di vecchia data nella città dei due mari. Lui libraio, lei insegnante di Inglese. Insieme portano avanti un avamposto che è una scommessa che è uno spazio fuori dal tempo, lì in via Mezzetti, angolo via Medaglie d’oro. Volumi e scaffali, legno chiaro e carta rilegata fin sopra al soffitto. Titoli, saggi, storie, racconti, autori. C’è tutto. Anche il computer. Che però non è la memoria storica. Né il cultore cui rivolgersi e chiedere. Qui ci sono persone, e persone che sanno. Una piccola meraviglia. Nel suo genere luogo raro. Libreria “Dickens”, tenere a mente. Sulla parallela c’è il Palazzo di giustizia (pure qui: storie, racconti e autori, ma di reato). Arrivarci e parcheggiare è un’impresa. Pazienza: la cultura deve essere a portata di mano ma non casuale. È scelta caparbia. Entrambi – Tonino e Giulia – hanno conosciuto il De Cataldo ragazzino come loro. Anni ’70. Niente università, la frontiera del fermento in città era lì alle superiori. Licei diversi: Giancarlo l’“Archita”, lei il “Quinto Ennio”, il marito il “Battaglini”; esperienze in parte comuni. Gli intrecci non erano molti, all’epoca. Ma quando avvenivano, incidevano. Il cineforum al circolo Casalini. Per esempio. O i pomeriggi di lettura espressiva. Altra storia. Incroci i dati e vien fuori un identikit. E ti spieghi molte cose. Prima del racconto, l’aneddoto: proprio con “Dickens” l’esordio di De Cataldo a Taranto come scrittore per la presentazione di “Terroni”, ma la concitazione del momento scivola in locandina e Ludovico Vico, uno degli ospiti, nel ’95 leader della Cgil ma non ancora onorevole, diventa Vico Ludovico. Tonino la esibisce come cimelio.



Giancarlo. L’amico libraio l’ha conosciuto al cinfeforum. «Eravamo lì a vedere “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene. Pomeriggi con dibattito, solo che nessuno si alzava mai. Volevamo cambiare il mondo, timidezza permettendo. E così alla fine l’invito arrivava puntuale, a colpo sicuro: “Giancarlo, comincia tu”. E lui partiva. Una riflessione attenta, precisa. Si vedeva che il ragazzo aveva stoffa. Preparato, ma senza aria da secchione. Non è stato mai tipo da colpi di testa, neppure una volta sopra le righe. Noi eravamo molto ma molto a sinistra. Lui, al più, radicale». Carmelo Bene era il genere proibito, l’oggetto del desiderio. «Noi ragazzi lo amavamo – ricorda Giulia –, ma la Fgci sosteneva non fosse impegnato come si doveva per quei tempi». Lei è stata tra i fondatori del Teatro Crest, a Taranto, con Clara Cottino e Andrea Indellicati. I pomeriggi delle letture espressive erano a casa di Andrea, piccolo cenacolo letterario. Il padre era direttore didattico. Si sceglievano libri, si leggevano brani. De Cataldo era del gruppo. «Giancarlo un po’ si schermiva – prosegue Giulia – diceva che veniva lì solo per incontrare le ragazze. Una mezza verità. Lui era un piacione, certo; però credo che scherzasse per smorzare l’aura, a quell’età forse un tantino pesante, di intellettuale impegnato». Buona parte del resto del mondo per lo più gira all’opposto: si ostenta cultura per rimorchiare.



Ha sposato una tarantina, Tiziana Pomes. Da trent’anni assieme, un rapporto nato e cresciuto a Roma. Giurisprudenza per entrambi, per quanto De Cataldo abbia intessuto la trama di quegli anni con le radio libere, le televisioni private, i giornali. Poi per lui la magistratura e per lei l’avvocatura. Dalla capitale non si sono più mossi, pur tornando spesso a Taranto. Un legame altalenante con la città, fra tira e molla: le stilettate all’indolente borghesia che punteggiano “Terroni”; l’allontanamento volontario in piena era Cito; le tre idee offerte nel 2011 a Stefàno, risposta all’invito del sindaco per instillare nuova linfa. Né assessore né consulente, però: “Il rilancio di Taranto deve essere compito principale di quanti vivono e operano in città”. Tra le proposte, il festival della cultura industriale: tre giorni per discutere di industria e città; industria, lavoro ed ecologia; industria, lavoro e cultura. Lo scandalo Ilva doveva ancora esplodere. Gli scrittori di solito anticipano gli eventi. E tracciano percorsi. Così, per dire.



Comunque. «Vuol sapere di Giancarlo? È una persona semplice. A tratti un bambinone». Tonino e Giulia si guardano, ricompongono il mosaico. Ognuno inserisce una tessera; il ritratto è coerente. «Ha seguito la sua strada. La sua formazione è legalitaria. Fino al midollo. E la sua abilità nello scrivere è proverbiale: già alle medie aveva elaborato romanzi di fantascienza, racconti di avventura. Cosa poteva venir fuori? Aggiunga che è un lavoratore instancabile, che potrebbe tirare avanti per tre giorni e tre notti di fila, che ricorda tutto ma proprio tutto (tipo che viene fuori un flash di cronaca e lui ricostruisce un intero contesto) e capirà dove affonda le sue radici il personaggio». Lo sport ha fatto capolino sufficiente per capire che non era aria. «È consapevole dei suoi limiti. In questo lo soccorre l’autoironia. E la testardaggine: assume il suo punto di vista come valore universale. In compenso dice sempre quello che pensa». Buona cucina e viaggi, a corredo. E quanto alle amicizie, il rapporto va al di là del tempo e dello spazio: restano (da vedere se sufficientemente coriacee anche dopo interviste su adolescenze ardimentose). Alla fine, però, il banco di prova più importante resta il gioco. Niente soldi, non interessano. Ma solidi principi: vincere. Da Risiko a tressette, tutto va bene per portare l’affondo. «Partite con litigate furibonde. Lì Giancarlo ha come una trasfigurazione: l’accanimento non ammette sconfitte».



Il resto è vita privata. Anche dolorosa. E qui finisce. Per citare Leonard Cohen, che De Cataldo ama e traduce: «Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l'inizio e la fine di una frase». Stop. Come parola può bastare.









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- Giuliano Sangiorgi

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