Visti da (molto) vicino/ Ennio Capasa
il genio che soffia da Oriente

Visti da (molto) vicino/ Ennio Capasa il genio che soffia da Oriente
di Rosario TORNESELLO
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Domenica 9 Febbraio 2014, 18:53 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 20:06
Storia minimalista. Il personaggio non ammette fronzoli. Come il taglio per un abito: semplice. Esalta la bellezza naturale. L’essenza, quando grazia, concede pi dell’apparenza. Il resto inutile sovrappi. L’eleganza questa. Stop. Dunque: Ennio Capasa. Che poi vuol dire Costume National e molto altro ancora. Uno stile sobrio ma raffinato, dove il fascino sta nel dettaglio, nella qualità e nella coerenza estetica (Financial Times). Un po’ di nomi aiutano a cesellare la cornice, a illuminare opera e personaggio: Mick Jagger, David Bowie, Keith Richards, Jovanotti, Willem Dafoe, e poi Carla Bruni, Madonna... Così, giusto per dire. E non solo loro. Tutti, clienti e amici, spesso suoi ospiti in masseria, giù a Otranto, alla corte del fashion designer nato a Lecce e salpato per il mondo. Ironico quanto serve, insubordinato quanto basta. Imprevedibile.



L’estro affonda le radici in un luogo, in un tempo. E risale. Innerva storie, salda generazioni. Maria Luisa Morroy Capasa, la madre, guarda fuori e lo sguardo si perde. Il suo profilo è narrazione che intreccia i ricordi e li riannoda, come i capelli lungo la schiena. È il capo apache di una tribù guerriera; la bimba giapponese che danza sotto la pioggia fitta, sottile, lieve. Lei, idruntina, nata scrutando l’Oriente. Studia filosofia, raccoglie favole e le racconta. Ancora oggi. «Ti dicono subito che il mondo è circolare - spiega -. Come le idee: si comunicano, si influenzano. Si rincorrono». Le vetrine di Smart, il negozio di famiglia, sono un inganno: mostrano vestiti, ma raccontano una storia. Da mezzo secolo, affacciate su piazza Mazzini, riflettono Lecce. Ampie. Luminose. Trasparenti. La vita scorre, dentro e fuori. Ci sarà anche crisi, ma qui la parola d’ordine è “divenire”.



Ennio, si diceva. L’anima creativa di Costume National. Che poi significa anche Carlo, il fratello maggiore, due anni più grande, ramo manageriale della società, nel senso che ne è l’amministratore («ma anche lui con una vena artistica», spiega la madre). I rimandi qui si rafforzano e si moltiplicano; la mappatura genealogica disegna ramificazioni che diventano stimoli nell’intrico di arte e impresa. E siamo già alla terza generazione che avanza. Dragana Kunjadic, la moglie di Ennio, un passato da modella, e i loro figli, Anton e Anna Luisa, lui universitario e lei ancora liceale ma già attrice, chiamata sul set della “Grande Bellezza” di Paolo Sorrentino ora in corsa per l’Oscar, non so se mi spiego; attrice come Stefania Rocca, la moglie di Carlo, e anche loro due bimbi, Zeno e Leone; e poi Rita, la piccola di famiglia, col marito Fabio Falconieri a New York tra il cinema (e tre!), la moda e un figlio, Santo. Trama di nomi e storie che interseca numeri che diventano simboli: l’1 e il 2, diversamente combinati, segnano destini e biografie. Ennio è nato il 12; Carlo il 21; Rita è arrivata 12 anni dopo. Così, quando s’è deciso di mettere mano agli anniversari e alle celebrazioni, Costume National ha reso omaggio alla propria storia solo dopo i 20 anni e prima dei 25, esattamente allo scoccare del 21esimo compleanno. Nel 2007. Un libro ne raccoglie i fasti. E i ricordi degli amici-clienti-star-simboli-miti di un’epoca. «Ennio ha sempre avuto rapporti diretti con i grandi del rock. Per lui un modo di andare oltre, di trascendere gli orizzonti usuali, senza mai infrangere le regole: non beve, non si droga, è igienista». Sembra il ritratto di un santo. Non lo è: chiedergli dell’autoesilio all’estero per evitare il servizio militare e la disciplina da caserma.



Gli orizzonti. Annuncio di apertura e perciò d’avventura. Il flashback porta alle origini di un mito e parte dall’estremo est italico, Otranto. Se Armani ha rivoluzionato gli anni ’80, Capasa ha stravolto i ’90 (New York Times). Toni scuri, colore quanto basta, dettagli di alta sartoria. E forme asciutte, ma non filiformi: quando la pronipote di Hemingway si presenta a sfilare per lui in passerella Ennio la rimanda a casa. Troppo magra. Questione di stile. Ci arriviamo. Con una piccola rincorsa. «Mio padre – racconta donna Maria Luisa – aveva una rimessa a Otranto con le prime auto a noleggio, agli inizi del ‘900. Strade sterrate, ma lui era già nel futuro. Avrebbe fatto l’attore e sarebbe andato in giro per il mondo se mia madre non l’avesse tenuto legato a sé e al Salento. Era dell’Inter. Anzi, dell’Internazionale. Una passione trasmessa ai nipoti. Io, invece, ero innamorata dell’Oriente. Rimasi affascinata da una recita alle Materne delle Maestre Pie Filippine. “Fukuki e Fior di Loto”. Interpretavo una parte, cantavo una canzone: “Bambole giapponesi, vestite di seta e di fior. Occhi come turchesi…”. Ho riempito la mia casa di libri, di oggetti. Tutto parlava di quei mondi misteriosi». Il panorama si schiude. Uno zio, Giampiero Volpi, pellicciaio, pittore, velista, innesta ulteriori influssi. E un cugino, capitano di mercantili in apertura di ’900, ritorna con echi di fasti e civiltà lontane. Questa è la culla. La casa, a Lecce, dopo il matrimonio di Maria Luisa con Antonio Capasa: figlio di costruttori apre alla moda, dandy com’era. Il primo negozio in viale XXV Luglio, già diviso tra uomo e donna sui lati opposti della strada. «Lo chiamò “Smart”. Capisci? Accadeva 58 anni fa. Ora tutto è smart: smartphone, smart city...». Un incidente se l’è portato via nell’87. Solo il tempo di vedere a Milano le prime due collezioni di Costume National. Tutto il resto da lassù.



Ok, ci siamo: Ennio. Che da piccolo rifiuta a scuola il grembiule e da ragazzo gira in pelliccia di castoro. Che frequenta il Liceo artistico e sperimenta ogni forma di arte. Pure punk, ma controcorrente: ogni giorno la doccia. «Poteva anche giocare da solo, l’importante era fare cose. Adorava suonare. La batteria, il violoncello. La pittura, la scultura. Era curioso e creativo». La maturità e il viaggio in Giappone, il primo. «Lo scelse lui. Come Carlo, che però aveva preso direzione opposta: New York. Dopo le Superiori ai nostri figli non abbiamo regalato auto, ma viaggi. Servono». Poi l’Accademia di Brera, a Milano: anni in cui col fratello si inventa una linea di camicie, le prime a collo morbido, e le vende. “Conti” il marchio. Graffio ironico a una Lecce che si voleva per forza nobile. Infine, dopo il diploma in Belle Arti, ancora il Giappone. Nuovo aereo, nuovo volo. Avrebbe voluto proporsi alla Canon come disegnatore di macchine fotografiche. Primi anni ’80. Carlo, nel frattempo, a Milano prosegue l’avventura nella moda e prepara il terreno: lavora nella “Ftm” con il prêt-à-porter, lancia la linea di Romeo Gigli. A suo modo, attende il fratello. Non tarderà.



L’Oriente: trama e ordito cambiano all’improvviso. In aereo Ennio conosce una coppia: lui francese, delegato al commercio estero; lei giapponese, fashion e facoltosa. Vedono i suoi lavori, se ne innamorano, li mostrano a Yohji Yamamoto, genio e guru dell’eleganza. Capasa approda alla sua corte. Dopo un mese, la proposta di contratto: «Una bozza naïf – ricorda la madre –. Più o meno così: “Vogliamo averti con noi. Se tu sarai buono ti daremo libero il pomeriggio dell’ultimo sabato del mese”». Generosi. Ma Ennio accetta. Con un buon compenso: è il primo assistente, responsabile di una linea. L’affinità con Yamamoto è evidente: tratti essenziali per una donna pulita. Un periodo irripetibile. Decisivo. Alla fine Yohji gli traccia due strade: “Ormai sei maturo per camminare con i tuoi piedi. Ma se resti sarai il mio erede naturale”. Ennio sceglie, rientra in Italia. L’Oriente sarà misterioso e affascinante, ma anche un tantino rigoroso. Forse troppo. E così ecco Costume National, perché alle cose bisogna dare il nome di cose. Ma non sono solo abiti: la moda è come il prozac. Il resto è divertimento. Sorpresa. Disegna la nuova Ducati e l’immagina come il suo alano da ragazzo: imponente, slanciata, nera. Cura l’allestimento di “Mutazione, trasfigurazione e sangue nell'arte contemporanea” al “Pac” di Milano e un filo rosso avvolge opere e ambienti a rappresentare le ferite, evocare le sofferenze. Veste Ottavia Piccolo per “Frida Kalho” e spiazza tutti con un abito bianco, lineare, dove solo le fenditure, evidenti e profonde, racchiudono le sofferenze del personaggio in scena. E quando a Tokyo inaugura il suo store, due anni fa, riesce a combinare l’arte dei giardini verticali dell’est con l’aroma di caffé del sud.



Questo è. E non a caso. “Tu sei la sua mamma naturale – ricorda sempre la madre di Yamamoto a Maria Luisa –, ma io sono la prima mamma orientale di Ennio”. La moda sa creare legami fortissimi. E magiche alchimie. “Bambole giapponesi, vestite di seta e di fior. Occhi come turchesi…”. Splendide come il sol.





Quattordicesima puntata - negli incontri precedenti:

- Paolo Perrone

- Dario Stefàno

- Roberta Vinci

- Massimo Ferrarese

- Elenonora Sergio

- Mario Buffa

- Antonio Conte

- Giuliano Sangiorgi

- monsignor Filippo Santoro

- Fabio Novembre

- Flavia Pennetta

- Maurizio Buccarella

- Emma Marrone




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