Una “emergenza nell’emergenza”. Così Stefania Rescio, una donna di Brindisi originaria di Cavallino, mamma di Antonio, definisce la situazione dei bambini autistici a causa del “lockdown” imposto per rallentare la diffusione dell’epidemia di Covid 19. Innanzitutto un dato pratico: i bambini autistici possono uscire di casa? «Nell’ultimo decreto, il presidente Conte ha finalmente inserito un passaggio sui bambini autistici, autorizzando piccole passeggiate nei dintorni dell’abitazione con un solo genitore. E anche in macchina, in questo caso però con entrambi, perché il bambino deve rimanere dietro con un genitore mentre l’altro guida. Una cosa che avevamo richiesto, con l’associazione “Il bene che ti voglio Onlus”, fin dall’inizio di questa emergenza. I bambini autistici, infatti, hanno necessità di uscire, di correre, perché sono abitudinari e devono seguire sequenze ben precise, altrimenti diventa un problema e vanno incontro a vere e proprie crisi comportamentali».
Perché è così importante la routine quotidiana e che effetto hanno le modifiche ai loro punti di riferimento inevitabilmente portate dall’emergenza Covid? «Mio figlio è impegnato costantemente. Prima l’asilo, poi l’attività con la mamma, un’ora al parco e tutti i giri che richiede, perché ha bisogno di camminare molto. Poi il gelato, il ritorno a casa, le terapie domiciliari, anche se molti invece si spostano per andare nei centri, per due ore alla volta ed infine qualche altra attività serale. E ancora la musicoterapia o la piscina terapeutica. Insomma, serve un impegno costante per non perdere le abilità acquisite, i piccoli obiettivi di autonomia come la semplice richiesta dell’acqua, ad esempio. Per loro tutto questo, a partire dalle terapie, è indispensabile». E invece, a causa dell’emergenza i bambini non possono più fare terapia. «Non come prima, almeno. Noi grazie ad un team clinico riusciamo fare, cinque volte alla settimana, un’ora e mezza con le sue due terapiste per ripassare e ripetere. Ancora più fondamentale, inoltre, è non perdere i contatti con le figure di riferimento come la maestra di sostegno, le terapiste e tutti i professionisti che li seguono». Le nuove tecnologie di comunicazione, dunque, possono essere un aiuto in questa situazione? «Noi siamo riusciti a programmare per lui queste attività con gli strumenti tecnologici oggi a disposizione ma molti non ci riescono. Il risultato, quando finirà questa emergenza, saranno danni incalcolabili e, temo, in alcuni casi irrecuperabili».
Come possono essere d’aiuto le istituzioni? «Occorre che i centri per l’autismo, che già fanno tanto, organizzino colloqui costanti con le famiglie. Hanno già attivato uno sportello telefonico ma credo serva un passo in più: dovrebbero cercare di capire quali sono le necessità delle famiglie.