Trovare un numero utile di esemplari di pinna nobilis, vivi e non infetti o sopravvissuti nonostante l'infezione, e fare un'analisi molecolare sui segreti di questa loro resistenza e sopravvivenza in un periodo storico di alta mortalità di massa è lo scopo di Sos Pinna, campagna di Irsa Cnr di Taranto, Istituto di ricerca sulle acque, rilanciata il 7 luglio al Ketos, Centro Euromediterraneo del mare e dei cetacei, a Palazzo Amati in città vecchia.
Laddove un tempo erano oltre 10.000, dato sottostimato, tra due mari e Jonio, ora saranno al massimo 10. La mortalità di massa sarebbe iniziata nell'autunno 2016 nella costa spagnola. I sintomi erano il mantello retratto, valve più lente e difficoltà a chiudersi, impossibilità di nutrirsi fino a morire di fame. Fino ad oggi, la ricerca ha definito le più probabili cause multifattoriali, una combinazione di haplosporidium pinnae, organismo classificato recentemente, forse nato in altri mari o nello stesso Mediterraneo e mutato, mycobaterium sp. e vibrio sp. In altre parole, la crisi climatica, i traffici marittimi e le acque di zavorra potrebbero aver importato o attivato questo killer e nessuno può ancora affermarlo o smentirlo.
Una storia partita nel 2019
Dopo l'sos lanciato nel 2019 ai subacquei, amatoriali o professionisti, civili o militari, tarantini o di qualsiasi luogo mediterraneo, adesso la loro ricerca è nei fatti in una fase 0,1, ammetteva il responsabile di Sos Pinna, Fernando Rubino, con pochissimi nuovi risultati e sempre meno individui vivi nel Mediterraneo: «Ho avuto una cinquantina di segnalazioni di persone diverse e non solo a Taranto - conferma - tutti gli esemplari trovati vivi sono morti tre mesi dopo la segnalazione (stessa fine l'hanno fatta le 2000 recuperate invano nella vasca di colmata ex Belleli). A Taranto, ora saranno 5 o 6 vive, tra Mar Piccolo, Mar Grande, Jonio e la mortalità è quasi al 100%. Sarebbe semplice fare micromanipolazioni con strumenti chirurgici, prelevare frammenti di tessuto e fare analisi molecolari. Però, si tratta di un intervento invasivo con pinze a becco lungo. Lo fai quando la pinna è in buona salute o sono tante. Se riusciamo a trovarne 3 o 4 tutte insieme, in una puoi pensare di fare una vera e propria biopsia. Studiare il corredo genetico diventa importante. Molto probabilmente - risponde - c'entrano la crisi climatica, la globalizzazione. Questo organismo forse era silente e non patogeno e questo tipo di sconvolgimento climatico lo ha attivato in senso patogeno. Quando la pinna nobilis è morta, la guardi e dentro non c'è nulla, quando è viva è bella, ha colori vivi, si apre e si chiude. Le condizioni ambientali influiscono. Altri organismi hanno creato danni alle ostriche in Usa e solo le basse temperature ostacolavano le infezioni. A Taranto, però, sono morte nei citri e ci sono informazioni contrastanti».
L'appello ai sommozzatori
Ai centri diving, si sono aggiunti Vigili del Fuoco, Guardia di Finanza Sdai Marina Militare (Servizio difesa antimezzi insidiosi) e si chiede a tutti i sommozzatori di continuare a segnalare ad sos.pinna@irsa.cnr.it, nella speranza di rintracciare gruppi più numerosi in zone protette, poter studiare almeno un esemplare e trovare finalmente questo elisir di lunga vita.
«La pinna nobilis è endemica nel Mediterraneo - spiega il ricercatore Irsa Cnr Giovanni Fanelli - ed al pari della cernia bruna, è una specie iconica.
Prima della guerra erano tante. A Taranto, estraevano il suo bisso e lo lavoravano. Adesso, microrganismi probabilmente si trasferiscono tramite ospite intermedio sfruttando le correnti e la infettano. Colleghi di Genova hanno presentato un progetto europeo, finanziato, sulla riproduzione artificiale e non riescono a trovare una pinna viva. Io mi aspetto di trovare pinnae piccoline. Giuseppe Denti sarà il collettore di tutte le segnalazioni. Noi vedremo se è viva e se è pinna nobilis. Incominceremo a monitorarla. Utilizzeremo una sorta di gps subacqueo messo a punto da Fabio Matacchiera. Vogliamo raccogliere dati, capire perché sopravvivono e salvare tutta la specie. In cambio, possiamo dare visibilità».
L'Iucn, Unione internazionale conservazione natura, ha inserito la pinna nobilis in una lista rossa di specie a rischio, vicina all'estinzione e raccomanda azioni di salvaguardia. Un'iniziativa preannunciata a riguardo potrebbe essere la presentazione, in sinergia con Club Unesco, di una proposta di inserimento nel patrimonio Unesco, affinché si aprano altre strade in supporto alla ricerca, e già sono arrivate 35 lettere di approvazione di ricercatori di tutti i paesi mediterranei.
Un sogno nel cassetto sarebbe aprire una scuola di tessitura di bisso, grazie alla celebre artigiana sarda Chiara Vigo, che a quanto pare anni fa in un incontro in una scuola tarantina promise di contribuire.
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