Hotspot e migranti: espulsi, ma senza soldi restano alla stazione

Hotspot e migranti: espulsi, ma senza soldi restano alla stazione
di Claufio FRASCELLA
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Lunedì 4 Aprile 2016, 07:28 - Ultimo aggiornamento: 14:07
Pollice in su, in segno di vittoria. Youssef, uno dei marocchini che la notte fra il sabato e la domenica hanno pernottato all’esterno della stazione, mostra ottimismo. Lo stesso i suo connazionali, ieri una cinquantina all’esterno della stazione. Sono lì, qualcuno da venerdì, altri da sabato. A poche centinaia di metri dal porto di Taranto, dall’hotspot realizzato appositamente per rilasciare un primo documento a quanti, migranti e con motivi diversi, sono arrivati sulle coste italiane. La maggior parte è di nazionalità marocchina, poi egiziani e tunisini. Molti, anche di altra nazionalità, fuggono dalla Libia, dove è in atto una guerra.

Insieme con Alì, decine di connazionali. Sei donne sono state assistite, ospitate nella palestra Ricciardi dal primo giorno. La struttura sportiva, meno male che c’è, la notte di venerdì al suo interno ne ha accolti una cinquantina. Una ottantina è rimasta all’esterno. Una situazione imbarazzante. Ieri mattina alla stazione, la presenza di polizia di stato, un’ambulanza che presta assistenza medica.
 
C’è anche il sindaco, Ippazio Stefàno, per quelle decine di ragazzi seduti sui gradini, fra buste e casse d’acqua. Il primo cittadino mette a disposizione ancora la palestra Ricciardi. Alcuni hanno lasciato la struttura sportiva, altri potrebbero sostituirli e ristorarsi provvisoriamente lì. C’è Donatella Duranti, parlamentare di Sel. Da venerdì, informata da alcune associazioni, segue da vicino l’intera vicenda. Ha chiesto alla Prefettura di Taranto un tavolo urgente per comprendere quali siano stati criteri e strumenti giuridici adottati fra accoglienza e respingimento. E cosa si può fare per evitare, comunque, che migranti senza sostegno economico non restino privi delle prime necessità.

Sta diventando un problema anche la mancanza di servizi igienici. Ci sarebbero quelli della stazione, a un passo, ma chiudono alle 20. Ci sarebbe la sala d’attesa, per stare seduti, stendersi un po’, recuperare se possibile le forze. Ma alle 24 in punto, chiude anche questa. Così, chi può, prima che fosse troppo tardi, sabato sera è salito su un bus urbano e si è recato alla Salinella. Non ci sono posti per dormire, tutti occupati, dunque il ripiego all’esterno, all’aperto, al freddo. Magari al mattino c’è il sole. A un centinaio di metri da chi sta in piazza della stazione, transitano auto in direzione Martina Franca, una fila per uno scampolo di gita fuori porta. Ma la notte, assicurano molti dei marocchini seduti su quei gelidi scalini, fa freddo, eccome.

Ci sono le associazioni, ragazzi volenterosi. Sorridono, provano a mescolare un po’ di italiano a un francese scolastico. Qualcuno è pratico, altri vengono sostenuti dalla volontà. Scambiano numeri di cellulare, nel caso si perdessero di vista. Ci sono rappresentanti delle associazioni Babele, Ohana, Tempo di cambiare, Welcome Taranto, una significativa presenza Arci.
Arriva un’ambulanza, la preoccupazione è comprendere quale sia lo stato di salute di quanti hanno già dormito un paio di giorni per strada, dopo un viaggio di stenti e lungo giorni e giorni. C’è una pattuglia della Polizia di Stato, due agenti vigilano e assistono il personale medico.

Intanto, i pochi marocchini in possesso di un cellulare, accendono e spengono l’unico strumento di comunicazione in possesso. Risparmiano energia. Si alzano, provano a sgranchirsi un po’, non perdono di vista i loro amici italiani, gli unici che possono dare loro una mano, qualcosa cui aggrapparsi. Non vogliono restare a Taranto, sanno che è una città che non offre lavoro. Ma restano imbottigliati ancora per ore lì, alla stazione, ostaggio della mancanza di denaro. Si trovano a metà strada, fra la miseria e la speranza di un futuro migliore. Per qualcuno un futuro, comunque. Lontano da guerre, conflitti e stenti. Quel pollice in vista, come a dire “Ok”, è un primo, timido segnale di ottimismo. Youssef e i suoi compagni ci credono.
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