Gli scioperi di 24 ore a Taranto (il 28 settembre) e a Genova (il 2 ottobre) sono stati solo un anticipo. Su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, Fim, Fiom e Uilm chiamano di nuovo alla protesta il 20 ottobre. Anche questa di 24 ore.
Presidio davanti alla sede del Governo
Ma stavolta sarà nazionale, riguarderà tutti i siti del gruppo e vedrà una manifestazione davanti a Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, mentre qualche giorno prima, il 16, davanti alle Prefetture delle città sedi degli impianti, vi saranno incontri con i prefetti “e le autorità locali competenti per denunciare i gravi problemi di salute e sicurezza presenti nei siti”.
Sono le decisioni assunte ieri a Roma, davanti al ministero delle Imprese, dove Fim, Fiom e Uilm per la prima volta hanno riunito il coordinamento nazionale con circa 200 delegati da tutt’Italia. Un luogo simbolico per evidenziare che il pressing è sul Governo, sollecitato a decidere sulle sorti di AdI.
Il parlamento
Ma c’è anche un pressing sul Parlamento, visto che le tre sigle metalmeccaniche hanno chiesto un’audizione alle commissioni Attività produttive e Industria di Camera e Senato alle quali proporranno “la costituzione di una commissione d’inchiesta che verifichi eventuali responsabilità sulla ‘mala gestio’ dell’azienda pubblica-privata”. Già partite ieri le richieste d’incontro ai presidenti Alberto Luigi Gusmeroli per la Camera e Luca De Carlo per il Senato. Annunciata anche un’”analisi approfondita con esperti per la verifica dei bilanci e l’uso delle finanze”.
La posizione sindacale espressa ieri dal coordinamento è che “se si vuole dare un futuro all’ex Ilva e salvare migliaia di posti di lavoro, salvare l’ambiente e continuare a creare ricchezza per tanti territori interessati, la scelta obbligata è quella di un immediato cambio di governance e di gestione dell’intero gruppo e realizzare il piano industriale ed ambientale”.
Il documento
“Continua ad essere inconcepibile ed inaccettabile che, a distanza di dieci anni dallo scoppio della vertenza dell’ex Ilva, la stessa non sia stata ancora risolta - rileva il coordinamento -. Il più grande gruppo siderurgico italiano, da cui dipende l’economia di diversi territori italiani, il destino di oltre 20.000 lavoratori e la fornitura di un prodotto essenziale per l’industria manifatturiera italiana, versa in condizioni critiche e gravi sotto l’aspetto industriale ed occupazionale”. Per il coordinamento, “la reale condizione e lo stato di declino del gruppo ex Ilva è ormai cosa risaputa: la maggior parte degli impianti sono fermi o a marcia ridotta, i luoghi di lavoro sono insicuri, la situazione debitoria è insostenibile, la cassa integrazione viene utilizzata per la riduzione dei costi ed i livelli produttivi e l’ambientalizzazione sono estremamente distanti dagli obiettivi previsti dall’accordo del 2018. Questa - per i sindacati - è la ‘reale’ fotografia che smentisce la ‘falsa’ narrazione del management di Acciaierie d’Italia emersa in ultimo durante lo Steel Committment”, cioè l’evento tenuto il 28 settembre a Taranto, in stabilimento, con centinaia di clienti mentre era in corso lo sciopero.
Le dichiarazioni
«Noi non ci siamo mai fermati e queste iniziative non saranno conclusive sin quando il Governo non prenderà atto dell’irreversibilità della situazione - dichiara Rocco Palombella, numero 1 Uilm -. Non sono possibili più soluzioni tampone. Serve una soluzione vera, forte, che dia il segnale che lo Stato c’è. Ventimila lavoratori non possono essere lasciati così. ArcelorMittal ci umilia, umilia i lavoratori, le famiglie, la nostra economia, stanno umiliando tutti, e sembra che tutto vada bene. Taranto è quasi spenta, non sta producendo quasi nulla».
È «la principale vertenza del Paese» l’ex Ilva e per il Governo «rappresenta un banco di prova» sostiene Roberto Benaglia, segretario nazionale Fim Cisl. «Tutti gli impegni sono stati elusi - prosegue -, non sono stati fatti gli investimenti promessi e vi è un “uso selvaggio” della cassa integrazione. I 680 milioni che lo Stato a messo a gennaio sono stati spesi in cassa corrente e non viene garantita la sicurezza dei lavoratori. Non c’è nessun Paese al mondo dove lo Stato mette i soldi e il privato fa quello che vuole. Non vengano calate sul tavolo trattative segrete e non si seguano più avventure industriali che non hanno futuro. Il tempo non è una variabile indipendente perché se arriviamo così a Natale sarà un disastro».
E Michele De Palma, a capo della Fiom Cgil, sostiene: «Abbiamo fatto un accordo nel 2018 di cui sono inadempienti proprietà e Stato. E oggi ciò di cui hanno responsabilità il Governo, il commissario e la proprietà, è che l’assenza di manutenzioni straordinarie e ordinarie non soltanto mette a rischio le condizioni ambientali, ma in tutti gli impianti la salute e la sicurezza di lavoratori e lavoratrici. Il piano industriale, di cui abbiamo necessità di applicazione per raggiungere gli obiettivi di produzione di acciaio individuati, serve per il tema della transizione, che è anche ecologica - rileva De Palma -, e per garantire i livelli occupazionali mettendo in sicurezza persone e impianti».