Ex Ilva: proclamato lo sciopero di 24 ore

Un momento del coordinamento di ieri a Roma
Un momento del coordinamento di ieri a Roma
di Domenico PALMIOTTI
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Martedì 10 Ottobre 2023, 05:00

Gli scioperi di 24 ore a Taranto (il 28 settembre) e a Genova (il 2 ottobre) sono stati solo un anticipo. Su Acciaierie d’Italia, ex Ilva, Fim, Fiom e Uilm chiamano di nuovo alla protesta il 20 ottobre. Anche questa di 24 ore.

Presidio davanti alla sede del Governo

Ma stavolta sarà nazionale, riguarderà tutti i siti del gruppo e vedrà una manifestazione davanti a Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, mentre qualche giorno prima, il 16, davanti alle Prefetture delle città sedi degli impianti, vi saranno incontri con i prefetti “e le autorità locali competenti per denunciare i gravi problemi di salute e sicurezza presenti nei siti”. 
Sono le decisioni assunte ieri a Roma, davanti al ministero delle Imprese, dove Fim, Fiom e Uilm per la prima volta hanno riunito il coordinamento nazionale con circa 200 delegati da tutt’Italia. Un luogo simbolico per evidenziare che il pressing è sul Governo, sollecitato a decidere sulle sorti di AdI. 

Il parlamento


Ma c’è anche un pressing sul Parlamento, visto che le tre sigle metalmeccaniche hanno chiesto un’audizione alle commissioni Attività produttive e Industria di Camera e Senato alle quali proporranno “la costituzione di una commissione d’inchiesta che verifichi eventuali responsabilità sulla ‘mala gestio’ dell’azienda pubblica-privata”. Già partite ieri le richieste d’incontro ai presidenti Alberto Luigi Gusmeroli per la Camera e Luca De Carlo per il Senato. Annunciata anche un’”analisi approfondita con esperti per la verifica dei bilanci e l’uso delle finanze”. 
La posizione sindacale espressa ieri dal coordinamento è che “se si vuole dare un futuro all’ex Ilva e salvare migliaia di posti di lavoro, salvare l’ambiente e continuare a creare ricchezza per tanti territori interessati, la scelta obbligata è quella di un immediato cambio di governance e di gestione dell’intero gruppo e realizzare il piano industriale ed ambientale”.

Il che significa via ArcelorMittal dall’attuale posizione, 62 per cento di Acciaierie d’Italia, e più poteri allo Stato, che ora in AdI ha il 38 con Invitalia. “Anche al Governo in carica - dice il coordinamento nazionale - è stata avanzata, fin dal suo insediamento, la richiesta di intervenire e definire una diversa governance con il passaggio in maggioranza dello Stato (passaggio ipotizzato dall’attuale ministro delle Imprese e del Made in Italy nell’ultimo anno)”. Chiesto, inoltre, “di realizzare il previsto piano industriale ed ambientale del 2018 ed il riavvio di altoforno 5, di non prevedere uso di ammortizzatori sociali, di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro in tutti i siti”. Ma “nell’incontro del 27 settembre scorso presso la presidenza del Consiglio dei ministri, siamo stati informati di una ennesima trattativa in corso tra Governo ed ArcelorMittal per stabilire dei nuovi patti parasociali”. Fim, Fiom e Uilm si dicono contrari al negoziato. Si tratta di un “ennesimo tentativo di escludere il sindacato e la rappresentanza dei lavoratori”. 

Il documento


“Continua ad essere inconcepibile ed inaccettabile che, a distanza di dieci anni dallo scoppio della vertenza dell’ex Ilva, la stessa non sia stata ancora risolta - rileva il coordinamento -. Il più grande gruppo siderurgico italiano, da cui dipende l’economia di diversi territori italiani, il destino di oltre 20.000 lavoratori e la fornitura di un prodotto essenziale per l’industria manifatturiera italiana, versa in condizioni critiche e gravi sotto l’aspetto industriale ed occupazionale”. Per il coordinamento, “la reale condizione e lo stato di declino del gruppo ex Ilva è ormai cosa risaputa: la maggior parte degli impianti sono fermi o a marcia ridotta, i luoghi di lavoro sono insicuri, la situazione debitoria è insostenibile, la cassa integrazione viene utilizzata per la riduzione dei costi ed i livelli produttivi e l’ambientalizzazione sono estremamente distanti dagli obiettivi previsti dall’accordo del 2018. Questa - per i sindacati - è la ‘reale’ fotografia che smentisce la ‘falsa’ narrazione del management di Acciaierie d’Italia emersa in ultimo durante lo Steel Committment”, cioè l’evento tenuto il 28 settembre a Taranto, in stabilimento, con centinaia di clienti mentre era in corso lo sciopero.

Le dichiarazioni


«Noi non ci siamo mai fermati e queste iniziative non saranno conclusive sin quando il Governo non prenderà atto dell’irreversibilità della situazione - dichiara Rocco Palombella, numero 1 Uilm -. Non sono possibili più soluzioni tampone. Serve una soluzione vera, forte, che dia il segnale che lo Stato c’è. Ventimila lavoratori non possono essere lasciati così. ArcelorMittal ci umilia, umilia i lavoratori, le famiglie, la nostra economia, stanno umiliando tutti, e sembra che tutto vada bene. Taranto è quasi spenta, non sta producendo quasi nulla». 
È «la principale vertenza del Paese» l’ex Ilva e per il Governo «rappresenta un banco di prova» sostiene Roberto Benaglia, segretario nazionale Fim Cisl. «Tutti gli impegni sono stati elusi - prosegue -, non sono stati fatti gli investimenti promessi e vi è un “uso selvaggio” della cassa integrazione. I 680 milioni che lo Stato a messo a gennaio sono stati spesi in cassa corrente e non viene garantita la sicurezza dei lavoratori. Non c’è nessun Paese al mondo dove lo Stato mette i soldi e il privato fa quello che vuole. Non vengano calate sul tavolo trattative segrete e non si seguano più avventure industriali che non hanno futuro. Il tempo non è una variabile indipendente perché se arriviamo così a Natale sarà un disastro».
E Michele De Palma, a capo della Fiom Cgil, sostiene: «Abbiamo fatto un accordo nel 2018 di cui sono inadempienti proprietà e Stato. E oggi ciò di cui hanno responsabilità il Governo, il commissario e la proprietà, è che l’assenza di manutenzioni straordinarie e ordinarie non soltanto mette a rischio le condizioni ambientali, ma in tutti gli impianti la salute e la sicurezza di lavoratori e lavoratrici. Il piano industriale, di cui abbiamo necessità di applicazione per raggiungere gli obiettivi di produzione di acciaio individuati, serve per il tema della transizione, che è anche ecologica - rileva De Palma -, e per garantire i livelli occupazionali mettendo in sicurezza persone e impianti».  

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