Si è caricato di tante aspettative l’incontro di domani sull'ex Ilva di Taranto tra i ministri Adolfo Urso, Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti e Aditya Mittal, ceo della multinazionale dell’acciaio. Dal faccia a faccia tra Governo e azionista di maggioranza di Acciaierie d'Italia, è attesa una parola chiara e definitiva dopo mesi di strappi, tensioni, mancate risposte del socio privato, innumerevoli sedute di cda e assemblee dei soci conclusi con un nulla di fatto.
Il tutto con una fabbrica che arretra sempre più e tocca con mano quello stato di consunzione che il presidente della holding Acciaierie, Franco Bernabé, evocò già a metà ottobre nell’audizione alla Camera. Non basteranno certo alcune ore di incontro a risolvere i problemi che si sono accumulati nei mesi, né a sciogliere i nodi che incombono sul futuro. Quand’anche, come pare, l’esito sarà - come auspicato da quasi tutti - il ritorno della fabbrica allo Stato, seppure a tempo, il da fare, moltissimo, viene dopo. E non è tanto cosa deciderà il Tar della Lombardia il 10 gennaio sulla fornitura di gas ad Acciaierie, che Snam Rete Gas avrebbe voluto staccare già a novembre ma i giudici amministrativi hanno sospeso gli atti della società dell’energia, quanto come riprendere una fabbrica al collasso. Forse è pure difficile dire da dove cominciare. Tentiamo allora una mappa.
La produzione
Si attende il dato finale del 2023 ma si dovrebbe essere sui 3 milioni di tonnellate di acciaio. Uno in meno di quanto promesso dall’azienda. E nel 2022 sono stati 3,471 milioni di tonnellate contro i promessi 5,7 (questo il livello indicato per molti mesi) 4,053 nel 2021 e 3,421 nel 2020. Secondo fonti tecniche interpellate da Quotidiano, arrivare a 6 milioni, la soglia attualmente autorizzata, richiederà almeno due anni di lavoro per riprendere regolarità di marcia, stabilità di produzione e qualità di prodotto. La risalita non è quindi dietro l’angolo. In futuro c’è l’obiettivo 8 milioni di tonnellate di acciaio, ma questo passa da una ristrutturazione-riconversione dello stabilimento tutta da cominciare.
Gli impianti
A 8 milioni si dovrebbe tendere con due forni elettrici, ciascuno da 2,5 milioni di tonnellate, e l’altoforno 5, con una produzione di 3,2-3,3 milioni. Un riassetto impiantistico poiché gli altiforni 1 e 2 sono quasi giunti a fine attività e a ruota seguirà all’altoforno 4. Se l’1 e il 4 vanno avanti con difficoltà, il 2 è invece fermo da agosto. Negli ultimi anni l’amministrazione straordinaria di Ilva ha speso una decina di milioni per la messa in sicurezza del piano di colata (dopo l’infortunio mortale del 2015, vittima l’operaio Alessandro Morricella), ma sta di fatto, comunque, che l’altoforno 2 ha esaurito il proprio ciclo vitale. Rifare l’altoforno 5, spento dal 2015, abbandonato e lasciato degradare, richiederà, a quanto pare, due anni di lavoro e una spesa che si aggirerebbe sui 500 milioni.
Il preridotto
Un anno fa sembrava che fosse stata imboccata la strada della realizzazione del progetto, ai primi di agosto Dri D’Italia (società pubblica) scelse anche i partner in Paul Whurt e Midrex, ma poi tutto si è fermato. Il Governo (col ministro Fitto, d’accordo anche Gilberto Pichetto Fratin, titolare dell’Ambiente) ha tolto dal Pnrr il miliardo che serviva, mentre Danieli - che si era candidata all’impianto di Taranto - ha fatto ricorso al Tar di Lecce contro Dri d’Italia. La nuova udienza è a marzo, ma nel frattempo il Governo non ha ancora chiarito se e dove ha ricollocato il miliardo. Intanto senza preridotto non ci sono forni elettrici.
AIA
L’istanza della nuova Autorizzazione integrata ambientale - l’attuale, in proroga, è scaduta il 23 agosto scorso - Acciaierie l’ha presentata a febbraio al ministero dell’Ambiente. Sono arrivate le osservazioni, ma nessuna istruttoria è stata nel frattempo aperta. All’interno della nuova Aia, ci sarà da decidere come regolare questioni specifiche, vedi il benzene, le cui emissioni, pur restando sotto i valori limite, nel 2023, secondo Arpa, sono aumentate rispetto al 2022. E pende inoltre la sentenza, attesa nei prossimi mesi, della Corte di Giustizia europea proprio sul tema ambientale.
L'occupazione
Aspetto molto critico. Partendo dal fatto che produrre una tonnellata da forno elettrico richiederà meno addetti rispetto all’altoforno (400 contro 1.000), non resterà certo l’organico attuale a 10.700 di cui 8.200 a Taranto. Di fatto, l’organico già da anni vede 3.000 in meno (di cui 2.500 a Taranto) per la cassa integrazione. Se poi aggiungiamo i 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria, anch’essi in cassa almeno dal 2018, ci sono 4.600 persone in bilico. Dato con cui bisognerà fare i conti.