A poche ore dall’incontro di oggi, pare nel primo pomeriggio, tra il Governo e Aditya Mittal, ceo di Arcelor Mittal, sul futuro di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva di Taranto, nessuna convocazione è ancora giunta ai sindacati per i giorni successivi al vertice odierno. L’impegno a rivedere i sindacati lo ha assunto lo stesso Esecutivo il 29 dicembre, all’indomani dell’ultima riunione a vuoto del cda di Acciaierie (il 28 dicembre). Ora, è probabile che la riunione con le sigle metalmeccaniche non sia proprio il 9 gennaio ma comunque avverrà a stretto giro. In ogni caso, l’attesa è finita o dovrebbe essere finita. In giornata si dovrebbe sapere se Aditya Mittal conferma la linea che vedrebbe la multinazionale arretrare dalla posizione di socio di maggioranza di Acciaierie per far salire al suo posto l’azionista pubblico, cioè Invitalia, che partirebbe dalla conversione in capitale dei 680 milioni erogati mesi fa grazie al decreto legge del 5 gennaio del 2023.
Il nuovo inizio
A giudizio di molti, per come sono ormai messe le cose, e con la fabbrica in declino, lo Stato in maggioranza (seppure temporaneamente) può costituire lo spartiacque, il nuovo inizio.
Dal 2012 a oggi
Sono quasi 12 anni, dal sequestro degli impianti del luglio 2012, che quest’obiettivo viene inseguito. Senza trascurare che l’azienda, se andasse in porto il disegno dello Stato in maggioranza, tornerebbe sotto di nuovo sotto controllo pubblico dopo essere stata privata per due volte. In mano ai Riva, che l’acquistarono dall’Iri, dal 1995 sino ai primi di giugno 2013, quando fu commissariata dal Governo, e poi sotto la bandiera di Arcelor Mittal da novembre 2018 sino ad aprile 2021, quando divenne privata-pubblica a seguito dell’ingresso di Invitalia come partner di minoranza (38 per cento, Mittal al 62) e l’esborso di 400 milioni da parte della società del Mef. E non è finita, perché anche stavolta lo Stato, dopo l’acquisizione temporanea di AdI, dovrebbe farsi da parte per far entrare un nuovo privato.
I possibili nuovi ingressi
Quale eventualmente sarà, e se sarà più di uno, è cosa che si vedrà. Adesso è prematuro. Un passo alla volta.
Mesi fa si è parlato di Arvedi, che ad inizio 2022 ha acquisito anche Acciai Speciali Terni e che con i suoi stabilimenti ha in parte coperto la produzione che non è più arrivata da Taranto. Ma, sarà anche per le tante incognite del nodo Taranto, un’eventuale partecipazione di Arvedi sinora è rimasta solo come ipotesi e non si è visto altro. Adesso, però, le cose potrebbero cambiare. Arvedi potrebbe magari entrare, ma quando Mittal sarà in minoranza assoluta.
Un altro siderurgico che forse avrebbe potuto investire a Taranto è il gruppo ucraino Metinvest a cui fa capo l’acciaieria Azovstal di Mariupol gravemente danneggiata dalla guerra aperta dai russi. Il siderurgico di Taranto, lo ha detto l’ad Lucia Morselli, mesi addietro ha lavorato per supportare la mancata produzione di Azovstal. Ma negli ultimi tempi Metinvest, insieme a Danieli, specializzato nella costruzione di impianti siderurgici, ha fatto rotta su Piombino, dove userà aree attualmente occupate da Jsw (Jindal). I due gruppi hanno infatti abbandonato l’ipotesi iniziale di una nuova acciaieria in Friuli a causa di contestazioni ambientali. Ospite a novembre di un convegno di Legambiente a Taranto, Antonio Sgrò, vice presidente di Danieli Green Metal, ha dichiarato a Quotidiano: «A Piombino faremo quello che era stato proposto a San Giorgio di Nogaro in Friuli. Due forni elettrici da 2,7 milioni in totale nella prima fase. Saranno alimentati a rottame e, in base alla composizione dell’acciaio, ci sarà un’adduzione di preridotto che verrà importato. Dovevamo fare questo progetto in Friuli. Piombino è un’occasione che si è aperta. Sembra che la ricezione e l’accoglienza siano buone, non ci sono problemi. Perché no Taranto? Qui è più complicato, ma non è mica di escludere in futuro. Bisognerà vedere».