Nella pancia del corteo una mattinata di rabbia: «Ora basta, via Mittal»

Nella pancia del corteo una mattinata di rabbia: «Ora basta, via Mittal»
di Nicola SAMMALI
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Martedì 30 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 31 Gennaio, 07:14

Nella pancia del corteo ribolle la rabbia. Viene fuori urlata con forza e decisione. «Via ArcelorMittal da Taranto». «Basta con la gestione dell'amministratore delegato Lucia Morselli». È lei, il potente manager di Acciaierie d'Italia, il bersaglio dei lavoratori dell’indotto e di quelli in amministrazione straordinaria, fianco a fianco dietro gli striscioni, avvolti dal fumo colorato e intenso delle torce.


Il messaggio che si leva in coro è indirizzato all’attuale governance del siderurgico, come al governo che sull’ex Ilva tenta di arrivare a una soluzione che possa coniugare produzione, occupazione e ambiente.

Senza dimenticare i crediti attesi da imprese e autotrasportatori. Sono in migliaia a muoversi dalle portinerie, un centinaio i mezzi in coda. Il concentramento è alle 7 del mattino, poco più di un'ora dopo la manifestazione ha inizio, presidiata dalle forze dell’ordine. Lungo la strada che da Taranto porta a Statte, chiusa al traffico in entrambe le direzioni, il corteo si fa massiccio. C'è tanta strada da fare per coprire l'intero perimetro esterno della fabbrica.

L'ex Ilva rischia di spegnersi


«Alla vostra destra potete osservare gli impianti che cadono a pezzi». «Dov'è la sicurezza?». Le facce sono tese. Il momento è delicato. L'ex Ilva rischia di spegnersi. Resta accesa la speranza, che alimenta la marcia dei lavoratori. Lenta, ma carica di adrenalina. «Legge speciale per i lavoratori di Taranto ex Ilva» c'è scritto su uno dei cartelli stretti tra le mani e alzati al cielo. «Solo i lavoratori continuano a lottare per la difesa del futuro ambientale occupazionale ed economico della nostra comunità». «Appalto il nostro impegno è per la difesa del lavoro e dell'ambiente». «Uniti per il futuro». «No al secondo bidone di Stato rispetto per Taranto». Parole scolpite che vengono da dentro. Raccontano dello stato d'animo che unisce ogni singolo operaio, sindacalista e imprenditore. Il corteo avanza, i tir si fanno sentire con le loro trombe che sembrano scuotere anche i resti dell'acquedotto del Triglio, ricoperto di minerale rosso. Il camino E312 dell'agglomerato svetta imponente, è il più alto dello stabilimento. «Via da Taranto». Riprendono i cori al megafono. «Mittal con te solo cassa integrazione». «Via Morselli da Taranto, abbiamo trovato un nome per un'altra strada».


La distanza da coprire per arrivare alla portineria C è ancora tanta, ma la stanchezza è lontana. Nella carreggiata opposta sulla Taranto-Brindisi, aperta al traffico, altri camion che la percorrono fischiano per solidarietà e vicinanza. La polizia guida il corteo, che procede compatto. «Adesso basta, no al 2015 bis». L'ipotesi di una seconda amministrazione straordinaria spaventa l'indotto. «La gestione di questo stabilimento da parte di ArcelorMittal è un fallimento, non ci ha messo nelle condizioni di poter esprimere al meglio le nostre capacità lavorative, non ha dato serenità alle aziende dal punto di vista finanziario ma soprattutto ai dipendenti che vivono un momento di sconforto e preoccupazione», racconta la titolare di una delle imprese dell'indotto. «Vogliamo essere fiduciosi nei confronti di un governo che continua a darci speranza e rassicurazioni, ma l’esperienza del passato ci porta a essere notevolmente preoccupati. Una nuova amministrazione straordinaria decreterebbe non solo la fine di tantissime imprese ma ancora una volta il fallimento di una città che purtroppo subisce da troppo tempo un degrado imprenditoriale, economico e sociale. Questa è la città della cassa integrazione, abbiamo più cittadini in cassa integrazione che cittadini lavoratori e questo è deprimente per noi e per tutti i titolari di impresa, anche giovani come me che hanno sperato e creduto di investire nella nostra città».

Le voci dei dipendenti

C’è la dipendente di un'altra impresa dell'indotto in difficoltà che non fa mancare il suo pensiero: «Ci troviamo qui a manifestare e a farci sentire sia dalla dirigenza della ex Ilva sia dallo Stato, perché abbiamo urgentemente bisogno di avere delle conferme di tutela per le aziende dell'indotto, quindi avere tutela anche dei nostri dipendenti per la continuazione della nostra produttività». Centocinquanta milioni di euro persi dal 2015 e 130 a rischio oggi non fanno dormire sonni tranquilli: tantissime aziende sono fallite e nella voragine che si apre ci finiscono dentro le famiglie, le bollette e i mutui da pagare, le storie di migliaia di lavoratori che potrebbero perdere tutto. Il futuro spaventa, ma la manifestazione è l'ennesimo atto di resistenza, per non sprofondare. E allora si urla ancora più forte mentre in lontananza comincia a intravedersi la Direzione di Acciacierie d'Italia. La Statale 7 è off limits per le auto in entrata e in uscita dalla città, il corteo l'attraversa rumoroso. Salgono i decibel della protesta, perché dietro quelle finestre serrate c'è quella governance che nessuno vuole più. Lo gridano a perdifiato, perché sia chiaro, perché anche a Roma lo sappiano una volta di più. «Morselli vai via, Taranto e i lavoratori non ti vogliono». Ricominciano i cori indirizzati all’ad sotto accusa. Adesso la portineria Direzione dista soltanto qualche centinaio di metri, l'ingresso è bloccato, è possibile solo costeggiarla. Ma c'è una lunga sosta, perché è quello il momento atteso da ore, dopo chilometri di marcia, perché si parla dell'acciaieria più grande d'Europa, grande due volte la città. I tir riprendono a suonare le trombe, il frastuono è enorme.


Lavoratori e sindacati sono ancora fianco a fianco. Gli striscioni tesi. I cartelli in alto. Riprende la marcia verso la portineria C, mancano pochi chilometri, poi l’assemblea proseguirà perché oggi cominciano le audizioni in Commissione Industria del Senato sul dl ex Ilva. La partita non è chiusa, serve unità ed è quello che hanno trasmesso al culmine di una mobilitazione iniziata già da qualche settimana. I sindacati, da Taranto, lo dicevano già da anni che «Mittal deve andare via perché è venuta qui solo per acquisire quote di mercato e chiudere la fabbrica. Lo avevamo detto, non ci hanno ascoltato e adesso siamo arrivati a questo punto. Lavoratori e imprese sono allo stremo, il governo deve procedere con il cambio di governance, prendere la maggioranza delle quote e rilanciare la produzione sostenibile». L’area tir è ormai vicina, la soluzione chissà.

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