Ex Ilva: divorzio consensuale tra soci di Acciaierie d'Italia

La produzione siderurgica di Taranto
La produzione siderurgica di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Venerdì 12 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13 Gennaio, 07:27


A quasi tre anni dalla stipula, finisce il “matrimonio” tra Arcelor Mittal e Invitalia  per l'ex Ilva. Il privato e il pubblico viaggiano verso la separazione e si mettono alle spalle l’esperienza (vissuta con molti conflitti in verità) in Acciaierie d’Italia, il siderurgico di Taranto. Il Governo - è emerso ieri sera dal vertice con i sindacati - pensa ad un “divorzio consensuale” tra i due partner poiché al punto in cui è giunta la vicenda, e con un’azienda sempre più avvitata dalla crisi, altro da fare non c’è.

Il divorzio

Ma il “divorzio consensuale” si ispira ad un metodo e a un obiettivo. Il metodo: negoziare con Mittal una via d’uscita. Trovare un compromesso, evitare che la multinazionale scateni un plotone di avvocati internazionali, scongiurare una guerra legale che non si sa quanto potrebbe durare e come potrebbe finire. L’obiettivo: arrivare comunque ad un’amministrazione straordinaria della società, tirando quindi una linea rispetto a questi anni. E ovviamente un conto è farlo con i soci in contenzioso tra loro, altro è farlo con un minimo di pax.
Ieri sera il Governo non ha esplicitato i termini “divorzio consensuale” (ne hanno infatti parlato i sindacati, mentre la nota diffusa da Palazzo Chigi si tiene più sulle linee generali) e, tantomeno, ha detto che si arriverà all’amministrazione straordinaria, ma il percorso, riferiscono le fonti presenti al tavolo, sarebbe proprio questo.

L'incontro

A ricevere i sindacalisti di Fim, Fiom, Uilm, Usb e Ugl, sono stati i ministri Urso (Imprese), Fitto (Coesione, Sud e Affari europei), Calderone (Lavoro) e il sottosegretario alla presidenza, Mantovano, mentre il titolare dell’Economia, Giorgetti, era in video collegamento.

Ma perché si arriva a questa scelta? Perché dopo il confronto che gli stessi ministri e Mantovano hanno avuto lunedì scorso a Palazzo Chigi con Aditya Mittal, ceo dell’omonima multinazionale, ogni possibile intesa col socio privato è svanita. Sfumata. Il privato, pur disponibile a scendere in minoranza in AdI, ha detto no ad ogni impegno finanziario in quota parte. Ma soprattutto - e questo Urso ieri lo ha sottolineato anche al Senato - ha rivendicato il mantenimento della governance paritaria insieme al socio pubblico richiamando i patti in essere. A questo punto, il Governo ha ritenuto che non ci fosse più niente da discutere con Mittal. Perché era impossibile lasciare invariata la governance nell’azienda alla luce della conversione in capitale, da parte di Invitalia, dei 680 milioni già erogati ad Acciaierie mesi addietro e dell’esborso, sempre da parte di Invitalia, di altri 320 milioni. E quindi stop. Fine della coabitazione in Acciaierie.

Le prossime tappe


Ora la road map che ha indicato il Governo è molto stringata in quanto a tempi. Premesso che i legali di Mittal e di Invitalia sono già al lavoro su come costruire il “divorzio consensuale” - modalità, contenuti, molto probabilmente anche soldi -, il Governo pensa di chiudere questo lavoro entro mercoledì per poi riconvocare i sindacati il giorno seguente. Ma a mercoledì prossimo manca poco e il punto è capire se si riuscirà a mettere nero su bianco e a formalizzare la separazione in un lasso di tempo così breve. E se il negoziato sulla via d’uscita si rivelasse arduo, bisognevole di più tempo, o, addirittura, saltasse? I sindacati hanno chiesto al Governo di pensare ad una soluzione, perché l’azienda non può essere lasciata nel guado e affondare. È chiaro che se si dovesse arrivare all’amministrazione straordinaria dopo il “divorzio consensuale” da Mittal, questa andrebbe studiata e bilanciata da una serie di contromisure per evitare che lasci, come già avvenuto nel 2015, strascichi molto pesanti sul territorio di Taranto e non solo. Da quello che riferiscono i sindacati, il Governo ha ben presente che non si tratta solo di trattare l’addio a Mittal, ma anche di assicurare la continuità dell’azienda, con tutto quello che implica, e garantire le risorse che servono.

Nuova convocazione


Proprio l’aspetto della continuità è richiamato dalla nota di Palazzo Chigi dopo il vertice. “La delegazione governativa - si legge - ha riferito che si sta lavorando in modo serrato per definire il confronto con ArcelorMittal e procedere alacremente per individuare il percorso sul futuro dello stabilimento all’interno di un quadro chiaro e definito che ha come primo obiettivo la continuità produttiva dell’azienda. I sindacati sono stati nuovamente convocati giovedì prossimo, 18 gennaio, per illustrare l’esito delle trattative di queste ore. Il Governo ha, inoltre, sottolineato che il metodo che si vuole continuare a portare avanti è quello di un ascolto reale e che saranno ricevute tutte le parti sociali e produttive. È stata infine data massima disponibilità, una volta chiuso il confronto con ArcelorMittal, a far partire presso il ministero del Lavoro un tavolo per approfondire tutti gli aspetti legati all’occupazione e alla sicurezza sul lavoro”.
Infine ieri a Roma c’erano anche gli imprenditori dell’indotto rappresentati da Aigi partiti da Taranto. Avrebbero voluto essere ricevuti dal Governo, visto che avevano scritto a Urso senza però ricevere riscontro, ma l’incontro pare che avverrà solo prossimamente. Una convocazione dovrebbe partire da Roma. Aigi ha solo manifestato con un presidio su un lato di via del Corso, all’altezza di piazza Colonna, poco distante da Palazzo Chigi. Esposti i cartelli: “No al 2015 bis”, “No al secondo bidone di Stato, rispetto per Taranto”, con evidente riferimento all’amministrazione straordinaria di otto anni fa.

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