L'ex giallorosso Angelo: "A Lecce ho vissuto gli anni migliori della mia carriera. Ora gestisco un ristorante brasiliano a Matera"

L'ex giallorosso Angelo con la moglie Elaine
L'ex giallorosso Angelo con la moglie Elaine
di Antonio IMPERIALE
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Lunedì 4 Luglio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:37

«Sai, sento il timbro salentino nella tua voce, e mi pare di essere ancora a Lecce. Questo mi aiuta a rivivere quei giorni, quegli anni stupendi che mi emozionano sempre, perchè Lecce, come tutti sanno, è ancora casa mia». Ha appena staccato dal suo lavoro in cucina, Angelo Mariano de Almeida, nella sua “A Barraca”, churrascaria, di “autentic brazilian cuisine”, la cucina brasiliana, il locale caratteristico, inevitabilmente con la maglia giallorossa del Lecce alla parete, e i migliori tagli di carne brasiliana, con le bibite brasiliane, la “capiroska timbalada”, “l’aqua que passaarinho nao bebe”, in una festa di colori, naturalmente con musica brasiliana, lassù nella storia tutta diversa dei “Sassi” materani che lo hanno affascinato e spinto a piantare le tende per la sua vita post-pallonara.
A Matera ci aveva giocato per un anno, 2017-2018, Angelo, venti partite in serie C, dopo che aveva conquistato la promozione in B con il Foggia. «Poi tornai in Puglia per un anno, Gravina, bellissima, il fascino della Murgia, per tornare infine in questa Basilicata che mi stava ormai prendendo l’animo, a Montescaglioso. Tornare in Brasile o restare qui? L’interrogativo durò poco più di un attimo. Matera si stava facendo splendida. Ricordo che ne parlavano prima per la sua povertà, per la sua arretratezza, difficoltà a sopravvivere, quasi uno dei posti più poveri, del Sud, nonostante il grande fascino. E invece Matera è cresciuta in fretta, ha saputo valorizzare i suoi grandi tesori, le ricchezze della sua storia, sino a vincere il derby con la città di Lecce per diventare capitale europea della cultura, un’occasione che ha sfruttato alla grande, con straordinaria abilità. Matera è bellissima e sa raccontare se stessa, il prestigio e l’incanto delle sue origini. Arrivano da tutto il mondo grandi personaggi. Ha assunto una dimensione universale. Passata la parentesi maledetta del Covid che speriamo non si riprenda la scena e ci costringa ancora ad una sopravvivenza difficile, la gente ha ritrovato il sorriso, l’entusiasmo lo leggi sulla faccia delle persone. Restare qui ne è valsa la pena, qui ho pensato di innestare la mia cultura su quella materana, proporre qualcosa di speciale come la cucina brasiliana, con le carni che arrivano dalla mia terra, dal Brasile, dall’Argentina, con gli straordinari tagli rossi. Naturalmente non mancano i prodotti alla brace, la salsiccia, il pollo prodotti di carne italiane. La settimana nostra è un po’ particolare, partiamo sempre dal buffet di antipasti. La mia famiglia è tutta impegnata nella Barraca, mia moglie Elaine, i miei due figli Angelo di 14 anni, Rafael di 12, nati tutti e due a Lecce. Poi mi aiuta pure mio fratello Anselmo che ha lasciato da poco anche lui il Brasile».

Scelta di vita

Meglio la cucina che la panchina da allenatore? «Ci ho pensato, dopo aver smesso di giocare dopo le due esperienze di Gravina e con il Montescaglioso. Sì, ho pensato per un po’ di provare ad allenare, di allungare la mia vita calcistica come fanno tanti calciatori. Ma poi mi sono innamorato della cucina e qui non potevo delegare nessuno, anche per via della chiusura con il maledetto Covid. Adesso amo sino in fondo questo lavoro che mi dà grandissime soddisfazioni, perché mi piace coinvolgere la gente, i clienti, entusiasmarli per le novità che riusciamo a proporre. Si è allargata anche qui la mia sfera di amicizie».
Gli amici sono importanti per il brasiliano di Corinthians che ha compiuto il dodici di giugno quarantuno anni, e che dalla raffinata scuola brasiliana, dal Criciuma approdò direttamente a Lecce nel mercato di riparazione del 2004-2005, quello delle contraddizioni zemaniane, con i 73 gol subiti che pesarono sui 67 segnati, meno solo della Juventus. «A Lecce ho abitato prima in via Gramsci e poi in via Cosenza, sulla strada per andare a Merine. Stavo straordinariamente bene, ho più amici a Lecce che in Brasile, è una città dal fascino unico con il Barocco come una magia che cattura chi ci arriva e con la gente con la quale riesci a tessere rapporti umani veri, sinceri. Essere giocatore a Lecce significa vivere l’entusiasmo di una tifoseria che ti spinge sempre a dare il meglio di te stesso. Se poi hai la fortuna di vincere due campionati significa vivere pagine di storia che ti accompagnano per la vita, come accade a me. Io ho vinto con Papadopulo e con De Canio. E ho vinto con la gestione di Giovanni Semeraro che ho avuto modo di apprezzare. Una gestione verso la quale non mi pare che ci sia stato tutto il riconoscimento che per me sarebbe stato meritato. In un certo senso con Papadopulo avevamo un po’ l’obbligo di cercare la promozione pur senza dimenticare però che era una B con Bologna e il Chievo allenato da Gasperini che avrebbe poi preso il volo. Fummo promossi ai play off. Con De Canio ci guardammo in faccia a gennaio e fu un grande impegno: “dobbiamo farcela”. Vincemmo sulla scia dell’entusiasmo, primi, davanti a tutti. Per me quello è stato uno dei migliori campionati della mia carriera, come poi quello col Siena in serie A. De Canio è un materano e mi capita di incontrarlo qui nella città dei “Sassi”, qualche volta al mercato e magari all’incrocio del semaforo. Ogni incontro scatta nell’animo uno dei ricordi più belli, di quella vittoria da record».
E adesso che il Lecce è tornato in A, ha voglia di tornare sugli spalti del “suo” Via del Mare, per fare un tifo d’inferno, un tifo brasiliano-leccese. «Magari insieme con i miei tifosi. È stato un grandissimo Lecce, quello di Sticchi Damiani, Corvino e Baroni.

Primo assoluto come il mio Lecce. Ora che sono andati via i capi storici, Gabriel, Lucioni e Coda, arriveranno i talenti che Corvino riesce a scoprire in giro per il mondo, magari negli angoli più impensati, più lontani. L’anno dei Mondiali, con l’Italia tristemente a casa, renderà tutto più difficile. Il Lecce si costruirà il suo futuro guardando alle provinciali che ormai da anni ce la fanno a restare a galla. Sono i modelli vincenti. Perché sia a lungo serie A».

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