Zucchero: «Il mio matrimonio finito per colpa di un amico. Depresso per sei anni, volevo farla finita»

Dalla fine del suo matrimonio all'incontro con Pavarotti fino alla depressione

Zucchero: «Il mio matrimonio finito per colpa di un amico. Depresso sei anni, volevo farla finita»
Zucchero: «Il mio matrimonio finito per colpa di un amico. Depresso sei anni, volevo farla finita»
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Domenica 31 Dicembre 2023, 12:50 - Ultimo aggiornamento: 1 Gennaio, 12:08

Zucchero ha conosciuto il successo e la depressione. Tutto insieme. Era il 1987. Il successo "Con le mani, Pippo, Solo una sana e consapevole libidine... ma non bastò. Perché Delmo, questo il suo vero nome, era depresso. «Il mio matrimonio stava finendo». Pippo non era una finzione. Era davvero un suo amico e ci provava con sua moglie «Sì. E temo ci sia anche riuscito». Al Corriere della Sera racconta che le occasioni per rifarsi non gli sono mancate. Non solo dopo i concerti. «Non aspettavano i concerti, venivano direttamente in albergo, a casa. Alcune erano bellissime, eppure ho rimediato parecchie brutte figure. Non riuscivo a combinare niente. È la depressione». Così tornò a casa dai suoi e scrisse Miserere. E la cantò Pavarotti anche se tutti gli dissero che non avrebbe mai accettato. 

Lui però non si arrende. «Telefono a Pavarotti a casa a Modena, e mi risponde sua figlia, che è una mia fan.

Così Luciano mi fa, con la voce impostata: “Ciccio, sei bravo, ti seguo, vieni domani a casa mia, che pranziamo e giochiamo a briscola!”».

Zucchero e la depressione

Quando era depresso «Volevo farmi fuori. Stavo malissimo. Attacchi di panico fortissimi, cose che non auguro a nessuno. Prendevo il Prozac ma non sentivo più niente. Dopo “Oro incenso e birra” mi chiamarono prima al Freddie Mercury Tribute, poi Sting, insomma mi sono capitate cose bellissime, ma non me le sono godute. Ero al massimo del successo e non volevo più salire sul palco, non volevo fare la tournée di Miserere: sedici concerti negli stadi».

Ha chiesto aiuto e ci è riuscito grazie a uno strizzacervelli. «Me lo piazzarono dietro. Sono stato l’unico rocker ad andare in tournée con lo psichiatra al seguito. Mi dissero: “Lui ti dà la pasticca, e tu suoni”. Se no? “Se no ti ricoveriamo all’ospedale psichiatrico di Pisa, e devi restarci un mese, perché se annulliamo la tournée faranno i controlli”». E lei? «Preparo la valigetta con il dentifricio e il pigiama. Arrivo in ospedale, e vedo una vecchietta incazzatissima che prende a borsettate un infermiere, poi un altro che urla... Così fuggo e torno a casa».

Ma la tournée non saltò grazie a un suo amico «Continuava a versarmi una grappetta di Bassano che mi avevano regalato, - racconta al Corsera - la scolammo tutta. Alle 4 del mattino dissi: adesso potrei salire sul palco. “Ma sei ubriaco”. Così partii per il primo concerto, con l’accordo che alle 5 del pomeriggio il mio amico avrebbe predisposto il rituale del grappino».

Un rimedio utile per fargli superare gli attacchi di panico: «Alla terza canzone mi prese l’attacco di panico e volevo scappare. O gettavo la spugna, o mi violentavo. Mi violentai. Cantavo per inerzia. Una parte del cervello si ricordava le parole e cantava, l’altra diceva: che ci faccio qui? Una notte sognai l’intera platea che mi aspettava con le fauci aperte, per sbranarmi. Ci ho messo sei anni a uscirne. Mi sono ricostruito pezzo a pezzo».

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