Arbore: «La banda è nel mio Dna. Nel web il futuro della tv»

Arbore: «La banda è nel mio Dna. Nel web il futuro della tv»
di Ilaria MARINACI
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Giovedì 21 Luglio 2016, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 12:38
«La musica da banda è nel mio Dna, me la sono portata sempre dietro e, se vogliamo, anche alcune mie canzoni hanno risentito di quelle armonie». Renzo Arbore non fa mistero di essere stato influenzato dalla musica da banda che sentiva da bambino, a Foggia, quindi si sentirà a suo agio a “Bande a Sud”, il festival degli immaginari bandistici, che si tiene fra Trepuzzi e Casalabate, dove sarà ospite con la sua Orchestra Italiana il prossimo 4 agosto.
Autore radiofonico e televisivo fra i più prolifici e innovativi, Arbore è volto noto della tv, ma anche cantante e musicista. Il jazz e la canzone napoletana sono le sue due direttrici principali, anche se - da visionario quale è sempre stato - ha inaugurato il RenzoArboreChannel.tv, dove si trovano cose vecchie e cose nuove perchè - come spiega lui stesso - «il futuro della televisione è sul web».
Qual è il suo primo ricordo legato ad una banda?
«Bè, io per la verità sono un vecchio appassionato di banda. Basti pensare che “La vita è tutta un quiz” è una canzone ispirata a una musica per banda, con la felicità che ti trasmette quando la melodia è allegra. Ma la musica per banda è anche la prima che ho sentito da bambino e che conservo nei miei ricordi. Nella mia città natale, Foggia, passava la banda durante la processione del Venerdì Santo, con la marcia funebre di Chopin, e in altre occasioni si eseguivano pezzi che forse i bandisti di oggi nemmeno conoscono. Uno si chiamava “Solferino e Sammartino”, era una sorta di gara fra bande diverse che si sfidavano in questa rapsodia a chi prendeva più applausi».
Lei crede che questo genere possa trovare spazio in questi nostri tempi, magari in una forma innovata?
«Sarebbe formidabile se una musica popolare come questa fosse finalmente scoperta dalla televisione che con la musica è molto avara. La tv italiana si preoccupa solo dei cantanti emergenti con i vari talent show, mentre trascura tutta l'altra musica, quella per banda, il jazz, lo swing, il folk. Invece, compito del servizio, soprattutto quello pubblico, sarebbe divulgare la musica popolare nostrana».
D'altra parte, è proprio con l'intento di portare la musica popolare italiana nel mondo che è nata la sua Orchestra, venticinque anni fa.
«Ho fatto quello che potevo fare quando mi sono accorto che le canzoni napoletane stavano per essere dimenticate perché in tv le consideravano vecchie e in radio non le passavano più. Quindi, avendo capito forse prima degli stessi autori che erano destinate all'eternità, che non invecchiavano, come le arie d'opera e il melodramma, le ho rilanciate. Poi, sono arrivati tutti gli altri».
Quest'anno si celebrano i 40 anni dalla nascita delle radio libere. Che cosa hanno rappresentato per il nostro paese a livello sociale e culturale?
«Le radio libere hanno fatto una scelta, che, per la verità, ancora non ha fatto la televisione. Si sono tematizzate, quella rock, quella solo musica italiana, quella radicale e così via. In più, si confermano una palestra formidabile: oggi quasi tutti quelli che lavorano in televisione vengono dalla radio, da Gerry Scotti a Carlo Conti, da Michele Mirabella a Amadeus, da Nicola Savino a Fiorello. Le radio sono le predilette di un pubblico giovane, un segnale che abbiamo dato io e Boncompagni ai tempi di Radio Rai. Quando cominciammo, sembrava una cosa per vecchi perché era arrivata la tv e attraeva soprattutto i giovani, mentre la radio era per i nostalgici, si scrivevano ancora i copioni. Invece, con Boncompagni facemmo la rivoluzione con “Bandiera gialla” e poi io feci “Per voi giovani” e “Alto gradimento”. Quando arrivarono le radio private, seguirono questa tendenza».
Lei è stato autore e protagonista di programmi cult come “Quelli della notte” e “Indietro tutta”. Crede che la tv stia attraversando una crisi di creatività o c'è qualcosa che le piace, che salva?
«Anche “Processo a Sanremo”, appena cinque puntate, che parlava pugliese con Lino Banfi e Michele Mirabella, è considerato un cult. Programmi così rivoluzionari non sono stati fatti più. Ci sono buoni programmi, come quello di Fiorello, ma niente di paragonabile a “Quelli della notte” o “Indietro tutta”, che si basavano sull'improvvisazione, sull'invenzione del momento. È una scuola che per adesso non ha eredi. Oggi le trasmissioni sono tornate ad essere scritte e recitate, mentre io, che venivo dal jazz, improvvisavo ogni parola, anche perché erano programmi giornalieri, non c'era il tempo di pensare. Potevamo solo inventare lì per lì: si accendeva la luce e dicevamo quello che ci veniva in mente. Una tecnica, inventata per la radio con Boncompagni, che ho portato in tv molte volte».
 
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