«A tutti capitano periodi di super-lavoro, ma quello che sta accadendo ai medici (e a me) da alcuni mesi è qualcosa di eccezionale. Non si tratta solo di essere caduti improvvisamente in un incubo ma di viverlo in prima persona e a un livello di frequenza altissima. Vivo il tutto al centro di una grande contraddizione: combatto contro il Sars CoV 2 da un punto di vista consapevole e informato ma al tempo stesso osservo ciò che mi capita dal basso e non dall'alto, dalla trincea che condivido con centinaia di pazienti e contagiati. Quella trincea sta diventando una grande scuola di vita ma il Diario che vorrei condividere è, soprattutto, un concentrato d'esperienza che può essere utile per migliorare la sanità italiana». Inizia così il diario di "Un medico in trincea".
PRIMO: NESSUNO SI PERDA NELLA TEMPESTA
«Innanzitutto mi presento: mi chiamo Maurizio Ridolfi - racconta - Non sono un novellino, faccio il medico di medicina generale da 23 anni e mi sono laureato 32 anni fa. Lavoro in un quartiere interclassista. I miei pazienti hanno tutte le età e ho uno studio - spazioso e ben tenuto, se posso permettermi - insieme ad altri colleghi e con tre segretarie al primo piano di un vecchio palazzo. Tutto quello che scriverò è solo vita vissuta. Vi farà sorridere ma vorrei cominciare raccontandovi che la pandemia ha stravolto la mia vita innanzitutto nel rapporto con i miei amici».
La telefonata
«Come stai?" mi chiedono al telefono con un tono preoccupato che prima non avevo mai sentito. "Le ultime settimane sono state le peggiori di tutta la mia vita professionale" è la risposta. Peggiori, ovviamente, in termini di impegno, di quantità ed intensità lavorativa, di stress, con pause pressoché inesistenti.
Dentro la "trincea"
«Ma anche, come vedremo, i mille problemi per evitare che il virus arrivi fin dentro la trincea dello studio che è un presidio che appartiene a me ma anche a centinaia di pazienti. Ed è questa la prima cosa che il coronavirus mi ha fatto scoprire: oltre a fare il medico, io faccio da mesi i "rassicuratore" nel senso che rassicuro tantissime persone. La gente vuole un punto di riferimento in un momento di grande disorientamento e quello - talvolta mio malgrado - sono diventato io. La tv, i media, raccontano il caso Covid piazzando le telecamere davanti agli ospedali. Un errore di prospettiva gravissimo. Perché quelle sono le retrovie. Importantissime, sia chiaro. Ma il virus si combatte a partire dal territorio e innanzitutto "attraverso" la prima linea dei medici di famiglia. Seguitemi in trincea dove vale una sola legge: mai perdersi».