L'ex Ilva, la "pistola di Čechov" dell'amministrazione straordinaria e le domande

L'ex Ilva, la "pistola di Čechov" dell'amministrazione straordinaria e le domande
di Francesco G. GIOFFREDI
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Mercoledì 21 Febbraio 2024, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 11:05
Se in una storia compare una pistola – scriveva Anton Čechov – questa prima o poi sparerà. Nell’ingarbugliato pasticcio dell’ex Ilva di Taranto, la pistola si chiama nazionalizzazione “a tempo”. E il proiettile è infatti partito. Era inevitabile. Forse. In due parole: amministrazione straordinaria, locuzione felpata che tutto smussa, ma che quello vuol dire. E cioè risorse da immettere in una fornace insaziabile, e molte domande senza risposta. Vero: dovrebbe essere una strategia ponte e tampone, giusto il tempo di riportare in asse il colosso finito fuori binario. Poi, spazio nuovamente ai privati: non più ArcelorMittal e avanti il prossimo, con lista di potenziali soci che già circola. Senza però al momento nulla di concreto. Il punto è che l’ex Ilva vive pericolosamente e da troppi anni sul filo delle soluzioni temporanee e incerte. Con numeri fuori controllo: 5.000 in cassa integrazione tra dipendenti diretti e dell’indotto, 3 milioni di tonnellate di acciaio prodotto nel 2023 (meno di quanto preventivato), 3,1 miliardi di debito, 140 milioni di crediti vantati dall’indotto. E poi la sensazione dello stallo industriale, tecnologico, ambientale. Partito il colpo di pistola, vanno sciolti presto alcuni quesiti basilari: quale l’estensione temporale e “funzionale” dell’amministrazione straordinaria? Quale il progetto produttivo per il futuro? Quale il dosaggio della parte pubblica e di quella privata? E quanto costeranno commissariamento e contenzioso con Mittal? Forse negli anni sarebbe valsa la pena di inchiodare Mittal un po’ di più ai propri doveri prima del benservito, dopo peraltro che il management dei franco-indiani ha giocato a carte coperte e che il colosso ha investito 1,8 miliardi nella decarbonizzazione del sito di Dunkerque, in Francia. Una beffa. Col rischio ora incombente di altri colpi mortali al manifatturiero italiano e all’ambizione dell’ambientalizzazione. 
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