Xylella, dieci anni di devastazione: la comparsa a Gallipoli e ora avanza nel Barese

Xylella, dieci anni di devastazione: la comparsa a Gallipoli e ora avanza nel Barese
di Maria Claudia MINERVA
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Mercoledì 15 Marzo 2023, 07:00 - Ultimo aggiornamento: 16 Marzo, 13:57

Dieci anni di xylella fastidiosa in Puglia. Un cammino doloroso, quanto incerto, ancora tutto in salita; un anniversario in cui si ripresenta, in tutta la sua drammaticità, l’amara consapevolezza dell’immane tragedia subita e di come in questi anni siano letteralmente cambiati il volto di un paesaggio, soprattutto quello salentino, e l’economia di un territorio naturalmente vocato all’olivicoltura. 
Una data, quella del decennale, che in molti - soprattutto chi ha sperimentato sulla propria pelle le conseguenze della “peste degli ulivi”, ma anche l’inerzia legata inizialmente alla mancanza di una diagnosi certa su un batterio fino ad allora sconosciuto in Italia, come pure l’assenza di politiche più coraggiose e di sostegno - vorrebbero dimenticare piuttosto che ricordare. Due lustri di devastazione, incertezze e paure, che hanno destabilizzato un intero esercito di agricoltori le cui piantagioni sono state divorate dal batterio. 
Dieci anni che hanno cambiato profondamente il comune sentire, influenzato dall’incedere e dal susseguirsi di eventi che hanno animato un dibattito sfociato spesso nello scontro pubblico: dalla diffusione inaspettata e inarrestabile della malattia alle tesi sul complotto, fino all’inchiesta della Procura. E in mezzo i movimenti di protesta, le manifestazioni di piazza (emblematica quella del 29 marzo 2015 a Lecce) per fermare l’“olocausto degli ulivi”, le ronde per guidare la “resistenza” al piano di abbattimento delle piante malate deciso dall’Europa, l’occupazione di strade e binari ferroviari, le minacce ai giornali accusati di connivenza con le multinazionali, le marce con i trattori, le fiaccolate e, infine, gli appelli di artisti impegnati e della società civile. Insomma, una spy story, come qualcuno ama definirla, dove alla fine, hanno perso tutti: innanzitutto, il territorio che non potrà mai più essere quello di prima; poi gli olivicoltori, costretti a rinunciare per sempre alle loro produzioni; i frantoiani che, obtorto collo, hanno dovuto vendere i loro impianti per non fallire. Ha perso la politica, che non ha saputo dare risposte certe e tempestive, e, infine, ha perso anche la scienza, che ha fatto passi in avanti, ma senza ancora riuscire a trovare una cura per sconfiggere la fitopatia. 

L’identificazione ufficiale della batteriosi

La prima comunicazione ufficiale della scoperta della fitopatia in Puglia risale al 15 ottobre 2013: nella zona agricola denominata “La Castellana”, a sud di Gallipoli, dove, in particolare, su un albero di ulivo si evidenziano segni di bruscature nelle foglie e deperimento generale della pianta.

Gli agricoltori già mesi prima avevano lamentato la presenza di disseccamenti anomali sugli alberi. Ben presto si scopre pure che la malattia si propaga velocemente: una diagnosi che rimanda ad accertamenti più puntuali e capillari da parte dei ricercatori. Ed è proprio il virologo Giovanni Martelli, professore emerito dell’Università di Bari, su input del professor Donato Boscia, ad avere l’intuizione che quei disseccamenti così particolari potessero essere sintomo della xylella fastidiosa (descritta per la prima volta nel 1892 sulle viti americane da Newton Pierce). In seguito, Maria Saponari, ricercatrice del Cnr-Ipsp (Istituto per la protezione sostenibile delle piante) individua il cosiddetto “paziente zero” della xylella, ossia la certificazione che il batterio sia arrivato in Italia e, in particolare nel Salento, con una pianta di caffè infetta, importata dal centro America. Considerando il tasso medio di mutazione di questi batteri, la ricercatrice e gli altri studiosi che hanno lavorato su questo fronte, sono stati in grado di confermare il 2008 come l’anno più probabile di introduzione della xylella in Italia. Una valutazione coerente con le prime segnalazioni di alberi infetti da parte degli agricoltori salentini nel 2010, poiché il periodo di incubazione della malattia può durare anche più di due anni. Lo studio fa anche luce su alcuni tratti genetici che potrebbero aver aiutato il batterio a diffondersi.

La quarantena

Tra il 2013 e il 2014 si susseguono campionamenti e indagini che portano all’individuazione di nuovi focolai nel leccese. Le segnalazioni di ulivi con sintomi riconducibili a xylella si moltiplicano. Scatta il protocollo per gli organismi patogeni da quarantena, (la xylella è un patogeno inserito nella lista A1 dell’Eppo “European and mediterranean plant protection organization”) un piano di contenimento che prevede l’eradicazione delle piante infette e l’istituzione di una zona cuscinetto (che inesorabilmente negli ultimi anni è slittata sempre più a nord). Ad un certo punto si comprende che la fitopatia è talmente pericolosa - si teme che possa travalicare i confini della Puglia e dell’Italia per diffondersi nel resto d’Europa -, che va affrontata usando soluzioni di tipo emergenziale. Il commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Silletti, con il sostegno di ricercatori e in linea con le direttive europee, predispone un nuovo piano per evitare la diffusione della xylella colpendo i vettori (gli insetti), isolando la zona infetta e abbattendo le piante malate a ridosso di un’ideale linea Maginot che avrebbe dovuto difendere il resto dell’Italia e del continente dal contagio. 

L’idea del complotto

In Puglia si contano circa 60 milioni di alberi di olivo, una pianta che, oltre a essere un’importante risorsa economica, è un elemento fondamentale della storia, della cultura e del paesaggio. Il fatto che non ci sia una cura e che le soluzioni proposte, tra cui l’abbattimento delle piante infette, e anche di quelle sane nel raggio di cento metri (successivamente ridotto a 50 metri), alimenta la teoria del complotto: viene avallata la tesi della volontaria introduzione di un batterio costruito in laboratorio, legato agli interessi di alcune multinazionali pronte a sostituire i secolari ulivi pugliesi con varietà geneticamente modificate. C’è anche un’altra tesi a sostegno della prima: la volontà, sempre delle multinazionali, di conquistare il mercato europeo con la vendita di fitofarmaci, pesticidi e diserbanti, rigorosamente chimici. Intanto la xylella avanza e conquista Brindisi e, poi, Taranto.

L’inchiesta della Procura

Il punto di rottura avviene il 18 dicembre 2015, quando la Procura di Lecce apre un’inchiesta per accertare eventuali responsabilità nella diffusione del batterio e sequestra tutti gli alberi di ulivo identificati per l’abbattimento. La vicenda però, come si è detto, era cominciata oltre un anno prima, nella primavera del 2014, a seguito di tre esposti presso la Procura della Repubblica di Lecce, presentati da associazioni di ambientalisti. Parte così un’attività investigativa che porta a iscrivere nel registro degli indagati i nomi del commissario straordinario per l’emergenza, Giuseppe Silletti, che poi di lì a poco si dimetterà, e di altri nove tra ricercatori e funzionari della Regione Puglia. E dopo 4 anni, su richiesta della stessa procura di Lecce, i dieci funzionari e ricercatori indagati per la diffusione della xylella (diffusione colposa di malattia delle piante, inquinamento ambientale, falso materiale e ideologico in atti pubblici, getto pericoloso di cose, distruzione o deturpamento di bellezze naturali, i reati contestati) sono stati definitivamente prosciolti da ogni accusa. Quattro anni di fermo, in cui, inevitabilmente, il piano di eradicazione si è fermato, consentendo all’infezione di progredire ulteriormente. 

Futuro, ricerca e rigenerazione 

Dopo dieci anni, cosa resta degli ulivi? Come confermato dall’Efsa, ad oggi non esiste una cura per debellare il batterio, che ha già raggiunto il Barese, ma la ricerca ha compiuto nuovi passi in avanti: rispetto alla velocità con cui si diffondeva in passato, la corsa della xylella ora rallenta, grazie a più azioni: controllo vettori, arature, trattamenti, monitoraggio e tempestivi abbattimenti. Nel Salento, invece, il piano della rigenerazione olivicola stenta a decollare: i 300 milioni stanziati dal governo nel 2020, come sottolineano le associazioni agricole, non sono ancora arrivati nelle tasche degli olivicoltori, motivo per cui i reimpianti procedono a passo di lumaca. Alcuni imprenditori illuminati investono gli ultimi risparmi nella diversificazione delle colture. La speranza è che una nuova e rigogliosa vegetazione possa presto far dimenticare l’immagine grigia e spettrale delle carcasse degli ulivi.

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