Novello autunnale in fase discendente, ma le “bollicine” pugliesi sono apprezzate all’estero

Novello autunnale in fase discendente, ma le “bollicine” pugliesi sono apprezzate all’estero
di ​Leda CESARI
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Domenica 5 Novembre 2023, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 6 Novembre, 08:33

Mentre il novello autunnale continua a vivere la sua fase discendente, è un altro il prodotto dell’enologia pugliese che fa segnare un boom. Esplosive lo sono per definizione, ma da un po’ di tempo a questa parte di più. E - paradossalmente - quelle pugliesi a volte convincono più il mercato estero che il consumatore nostrano, che a volte ignora perfino la loro esistenza rimettendosi senza troppo lavorio intellettuale alle lusinghe del più noto Prosecco. Termine spesso usato dai non addetti ai lavori come sinonimo di “spumante”: semplificazione sbagliata, perché il Prosecco è sì un tipo di spumante, ma non una denominazione capace di identificare un’intera categoria. Un errore concettuale che si ripercuote anche sul consumo effettivo di bollicine pugliesi, perché è ancora tristemente vero, salvo lodevoli eccezioni, che quando vai a fare l’aperitivo, sei invitato a un matrimonio o a un qualsiasi party ti offrono in genere un Prosecco, appunto. 


Nonostante le bollicine pugliesi siano ormai una realtà riconosciuta e apprezzata nel mondo: D’Araprì docent, fin dal 1979. Francesco Lonoce, Cantina Calitro in quel di Sava, è al quinto anno di Metodo Charmat da Primitivo: un’eccezione nell’eccezione, perché vitigno pugliese spumantizzabile per eccellenza, oltre al Bombino nero, viene considerato di solito il Negroamaro: «Quando la gente assaggia il nostro spumante rimane piacevolmente sorpresa - spiega Lonoce - e poi comincia a consumarlo regolarmente.

Però sì, molta gente associa in automatico “bollicine” a “Prosecco”. Per fortuna i mercati esteri sono più curiosi, così noi, nonostante ne produciamo una quantità ridotta - 3500 bottiglie, per ora - lo esportiamo in Brasile, in Giappone e in Albania. Più costoso del Prosecco? Venticinque euro a bottiglia forse cominciano a essere una cifra, ma è uno Charmat, appunto, e se rapportato al prezzo di un Franciacorta non troppo blasonato, per esempio, si intuisce subito che così non è». 

A Turi, Cantina Coppi, lo spumante si fa addirittura dalla seconda metà dei favolosi Ottanta. «Mio padre Antonio ci ha sempre creduto - racconta infatti Doni Coppi - perché acquistò la prima catena di imbottigliamento con riempitrice isobarica nel 1987, e poi cinque autoclavi da 30 ettolitri che abbiamo ancora in cantina. Certo, fu una scelta avveniristica, per quei tempi, ma abbiamo continuato su quella strada e oggi produciamo 30mila bottiglie mentre l’interesse dei mercati cresce. Ovviamente i più interessati sono i turisti in visita nelle nostre zone, ma l’altro giorno, per dire, abbiamo avuto un ordine dal Kenya per la nostra Verdeca, e sono soddisfazioni. Le nostre bollicine acquisiscono dignità col passare del tempo, anche se - sì - bisogna lavorare con molta pazienza per far conoscere la nostra produzione anche nelle nostre zone… Anche qui si usa il termine prosecco come sinonimo di spumante, ma ho fiducia nel fatto che prima o poi la gente imparerà a distinguere». 
Un’imprecisione che - gli insider lo sanno - manda ai matti l’ex senatore Dario Stefàno, da sempre convinto sostenitore delle bollicine pugliesi: «Mi fa ribollire il sangue l’idea che non ci sia un ricevimento, una festa, un bar pugliese in cui non si serva Prosecco quando si ordina uno spumante. Ho “denunciato” giorni fa pure il Comune di Porto Cesareo per aver celebrato la cittadinanza onoraria a Giuliano Sangiorgi con un party a base di Prosecco, e sì che si stava festeggiando il frontman di un gruppo che non a caso si chiama come un vitigno salentino… Stessa cosa a Otranto per il rinfresco della festa per i Martiri. Il problema è una filiera distratta, e la mancanza di orgoglio identitario al riguardo: distratte le istituzioni, distratti gli operatori, distratti i Consorzi, che io critico perché si potrebbe fare di più al riguardo: ad esempio andando a prendersi i migliori professionisti per completare le filiere». Inaccettabile, infatti - prosegue Stefàno - che un vino D’Araprì si aggiudichi il titolo di bollicina più buona d’Italia da cinque anni a questa parte - per Bibenda - e che il settore sia invece ancora indietro per tutto il resto: «E non è vero neppure che gli spumanti pugliesi siano più cari di altri: se raffrontati ad altre bollicine di qualità medio-bassa può darsi, ma pure il Prosecco millesimato costa. Ormai i nostri prodotti hanno raggiunto standard di qualità elevatissimi, ogni volta che i miei ospiti in arrivo da fuori lo provano sono solo parole di apprezzamento ed elogio. E allora, ripeto, abbiamo bisogno di competenze di livello per formare i nostri professionisti e completare la filiera, come abbiamo fatto per i rossi e i bianchi andando a prenderci i migliori enologi dal resto d’Italia».
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