Da Foggia a Lecce bocche cucite. Ma l’idea del rettore dell’Ateneo di Bari Stefano Bronzini di «mettere intorno a un tavolo tutte le università pubbliche della regione per trasformarle in una federazione» per il momento non sembra fare breccia nelle altre Università, fra i docenti e i capi Dipartimento delle varie Facoltà che Bronzini immagina di distribuire nelle varie province pugliesi per valorizzarne caratteristiche e potenzialità. Non piace innanzitutto perché non è chiaro quale peso e quali poteri gli Atenei più piccoli finirebbero per avere se la sede centrale di questa federazione - possibilità prevista e attuabile secondo quanto stabilito dalla legge Gelmini - fosse Bari, come pare naturale. «Quanti componenti avrà l’Unisalento in un Consiglio di Amministrazione a Bari?» chiede un preside di Facoltà. E che fine farebbero i docenti di Medicina o di Archeologia di Lecce - riflettono i diretti interessati - se si stabilisse, come suggerisce Bronzini - di centralizzare queste facoltà a Bari?
I dubbi dei “piccoli”
Gli interrogativi e i dubbi sono tali e tanti da spiegare la timidezza e la prudenza con la quale l’idea di una federazione di atenei, che il rettore della “Aldo Moro” ha lanciato già il 24 gennaio scorso, è stata accolta a Foggia e a Lecce. Interrogativi e dubbi che non riguardano soltanto il potere, le capacità decisionali e l’autonomia delle singole università, ma anche l’articolazione dei diversi servizi che dovrebbe accompagnare una simile riforma. «Se una determinata facoltà trovasse spazio solo in una città - dice, sempre in anonimato, un altro docente di Unisalento - ci sarebbero posti sufficienti negli studentati di quella città per ospitare i ragazzi provenienti dagli altri atenei pugliesi? E se per studiare Medicina si dovrà andare necessariamente a Bari, non si corre il rischio che quegli studenti preferiscano, a quel punto, andare fuori regione?». Dubbi legittimi, che covano anche sul fronte trasporti.
La Puglia non è una regione che offre servizi di trasporto regionale efficienti al punto da poter garantire una mobilità veloce, giornaliera.
Il retroscena
Per i più maliziosi, la proposta cui Bronzini lavora «da oltre un anno» - così ha spiegato ieri a margine del congresso di Legacoop - è frutto di una presunta perdita di consenso nell’ambiente universitario con la quale il rettore dell’Ateneo di Bari si starebbe misurando a causa dell’apertura della Facoltà di Medicina a Lecce. Una proposta dal retrogusto politico, insomma, che non terrebbe in debito conto gli effetti reali di una centralizzazione dei poteri a Bari, a scapito delle altre città universitarie della regione. È davvero così? Difficile dirlo, finché il dibattito resterà sottotraccia, nei corridoi degli atenei e non verrà squadernato coinvolgendo tutti gli attori del mondo universitario.
«Ma secondo lei - azzarda un docente di Ingegneria - perché regioni grandi come l’Emilia Romagna hanno tanti atenei e nessuno ha proposto di farne una federazione?». Una possibile risposta risiede nelle differenti risorse e servizi che quegli atenei offrono alla platea di potenziali studenti, nella diversa collocazione geografica dell’Emilia - per la quale è più facile intercettare ragazzi dalle regioni vicine - e poi, probabilmente, in una storia universitaria più antica e radicata, che lascia meno spazio al conflitto e alla competizione fra realtà che vogliono crescere, ingrandirsi, guadagnare prestigio e iscrizioni. E che nella federazione sentirebbero frustrate le loro ambizioni. Il sasso nello stagno è lanciato. Non resta che attendere di capire quali effetti sortirà.