Sud, c'è la carta Recovery Fund: le tre priorità della Regione e i 25 miliardi per le opere

Sud, c'è la carta Recovery Fund: le tre priorità della Regione e i 25 miliardi per le opere
di Francesco G.GIOFFREDI
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Domenica 4 Ottobre 2020, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 10:24

Il nocciolo duro e denso del ragionamento è sostanzialmente questo: «Stavolta è diverso, perché le risorse ci sono». Al terzo round in Fiera del Levante (la prima volta risale al 2018), Giuseppe Conte sa qual è la trappola da aggirare: lo stanco rito delle promesse, la retorica rimasticata del «Sud strategico» che però poi non sfocia in nulla di concreto, operativo, tangibile. L'altroieri però, al blindatissimo taglio del nastro serale a Bari, il premier ha provato a rassicurare: «Abbiamo 209 miliardi del Recovery Fund, sono risorse già di per sé senza precedenti, a queste poi aggiungiamo gli ulteriori fondi del Programma europeo React Eu, i fondi strutturali, che abbiamo rimodulato, e fondi di sviluppo e coesione. Abbiamo davvero l'opportunità di mettere il Mezzogiorno al centro dell'agenda politica, italiana e anche europea». Nei giorni scorsi, il ministro del Sud Giuseppe Provenzano ha accennato a 140 miliardi di euro complessivi per il Mezzogiorno.

D'accordo, ma da dove cominciare? La cabina di regia, al cui vertice c'è il ministro degli Affari europei Enzo Amendola, sta provando a dare coerenza alle richieste dei dicasteri e al Recovery plan, il piano che dirà all'Ue come e dove l'Italia intende spendere la pioggia di risorse. Ma c'è un altro fronte, poi: il serrato confronto con le Regioni, che avanzano proposte e pretese. Dirette e indirette. Venerdì, sempre in Fiera, Michele Emiliano ha indicato tre direttrici per sfruttare al meglio le opportunità del Recovery fund «senza il cappello in mano»: la piena attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, pietra angolare del dibattito tra Regioni e vero fulcro della partita legata all'autonomia differenziata; gli investimenti necessari per accorciare il divario infrastrutturale del Sud; e infine l'adeguato sostegno al «modello di sviluppo industriale pugliese».

Difficile, ora, quantificare la quota di risorse necessarie. Il primo round andrà in scena in Conferenza Stato-Regioni. Le opere citate però da Emiliano (ne parliamo più ampiamente a pagina 3) richiederebbero un'integrazione finanziaria pari a 20-25 miliardi di euro. Opere, giova ricordarlo, che non ricadono direttamente sotto l'ombrello della Regione (le stazioni appaltanti sono Anas e Rfi) e che comunque hanno un respiro extra-regionale. «Cosa manca allora?», si è chiesto Conte venerdì interrogandosi sul solito collo di bottiglia (i grandi proclami, le risorse e infine la spesa che si inceppa): «Quello che è quasi sempre mancato in questi decenni: saper dare piena attuazione ai progetti, riuscire a esprimere una capacità amministrativa di spesa e di realizzare gli investimenti, le opere annunciate», ma «i progetti del nostro Piano non rimarranno solo dei titoli», «realizzeremo i progetti nei tempi con i finanziamenti stabiliti».

Emiliano però insiste, e insisterà, su quella che dallo staff del presidente bollano come una «condizione necessaria»: la fissazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. In sostanza, sono una soglia minima che dev'essere pareggiata tra tutte le regioni, magari attingendo - anche in questo caso - al forziere del Recovery fund: «I Lep devono essere realmente e concretamente garantiti su tutto il territorio nazionale. Come si può immaginare, infatti, anche solo di parlare di parità di opportunità tra cittadini italiani se i diritti connessi all'istruzione, alla formazione, alla salute, alla mobilità e al trasporto non sono ugualmente riconosciuti?». «Insieme ad altre regioni del Mezzogiorno abbiamo deciso di non partecipare alla Conferenza Stato-Regioni che sembrava aver definito, nell'esclusivo interesse del Nord, la questione dell'autonomia e conseguentemente dei Lep. Quel dibattito aveva nel fabbisogno delle risorse finanziarie necessarie per la piena attuazione dei Lep, il suo ostacolo principale», ora però il Recovery può e deve porre rimedio al problema - è la tesi di Emiliano.

C'è poi il segmento-imprese. «Negli ultimi anni - dice Emiliano - i distretti produttivi pugliesi hanno, per fatturato, risorse umane impiegate e livelli di ricerca raggiunti, imposto la loro indiscussa supremazia nel Mezzogiorno», e la Regione ha già «formule e modelli» per iniettare risorse a sostegno dell'economia reale.

Il governatore individua però i settori su cui orientare la partita del Recovery in Puglia. Il primo è «l'agrindustria», ma «occorre superare i rigidi schemi del Psr e puntare ad una stagione di investimenti finanziati a sportello, già ampiamente sperimentati con le imprese pugliesi di tutti gli altri settori», e «il Recovery fund deve servire a realizzare la più grande infrastruttura idrica d'Europa ad esclusivo servizio dell'agricoltura». Il riferimento è al cosiddetto acquedotto rurale: una sorta di interconnessione tra reti che appartengono al momento a diversi gestori (Aqp, Eipli, Consorzi di bonifica, Comuni) e che abbraccia anche il rilancio del cruciale Invaso Pappadai (che addurrà acqua a tutto il sud della Puglia). Per interconnettere e risistemare le reti occorrono però soldi, ed ecco allora entrare in ballo il Recovery fund. Ict, cyber security e meccatronica sono gli altri tre settori citati da Emiliano come leve essenziali del domani da ingrassare con parte del Recovery. La partita, insomma, è solo all'inizio.

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