Il fisiatra che ha curato Stefano Tacconi racconta la degenza: «Ci ha insegnato a non mollare mai. Triste? Solo per la Juventus»

Il fisiatra che ha curato Stefano Tacconi racconta la degenza: «Ci ha insegnato a non mollare mai. Triste? Solo per la Juventus»
di Giuseppe ANDRIANI
5 Minuti di Lettura
Martedì 7 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 20:44

Stefano Tacconi è tornato a casa da poco più di una settimana, dopo il ricovero all’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, dove era dal 28 giugno per curare l’emorragia celebrale che lo aveva colpito nell’aprile del 2022. «Pensavo di essere immortale e invece dietro l’angolo c’era qualcosa di inaspettato», ha detto a Verissimo (su Canale 5), alla prima apparizione pubblica dopo oltre un anno e mezzo di silenzio. Da San Giovanni Rotondo, la città famosa nel mondo per San Pio, Michele Gravina, il fisiatra dell’equipe medica che ha curato l’ex portiere della Juventus e della Nazionale racconta la riabilitazione di un uomo che «ha fatto un percorso straordinario anche dal punto di vista umano». «Ha vissuto la malattia - prosegue il medico - in maniera distesa. La gente è sempre convinta che da noi dottori ci sia da imparare, ma spesso siamo anche noi ad apprendere. E io da lui ho imparato la tenacia e la voglia di non mollare, che spero mi accompagnino per sempre». 
Sempre accompagnato dal figlio Andrea e dalla moglie Laura Speranza, Tacconi ha parlato in tv della sua parata più bella e di quello che successe il 23 aprile 2022. 
«Da un paio di giorni mi sentivo molto stanco perché avevo guidato da solo per più di tremila chilometri, avevo mal di testa e dovevo aspettarmi che qualcosa non andasse bene, ma non pensavo fosse una cosa del genere», ha detto. Una riabilitazione lunga, che adesso andrà avanti a Milano, a casa sua. «Mi sono perso un pò di cose in questo periodo, come il matrimonio di mia nipote e il diciottesimo di mia figlia. Però, almeno, mi hanno visto vivere che è quello che conta». E poi la fatica della ripartenza: «La cosa più complicata è stata la riabilitazione. Nonostante sia stato un atleta non entravo in palestra da 25 anni e ho faticato tantissimo: ho dovuto ricominciare tutto da capo, a camminare e a parlare. Ora mi dicono che devo stare attento perché può tornare l’emorragia, ed è quello che mi fa un po’ più paura, perché io non sto mai fermo». 

Il racconto

Gravina torna indietro, al momento del ricovero di Tacconi. «Era un paziente emotivamente in una situazione delicata, inizialmente non aveva neppure piena consapevolezza del suo stato clinico. Abbiamo capito che lui si era reso conto del tutto quando ci ha detto: “Sono stato davvero fortunato”». «Ci siamo concentrati su diversi aspetti della sua situazione, da quello motorio a quello umano. È stato bello vedere come lui nelle settimane passate qui non ha mai rifiutato di fare una foto con i tifosi che erano ricoverati nello stesso reparto». 
L’equipe medica è coordinata dal professor Domenico Intiso, sono circa una trentina di professionisti tra fisiatri, medici, infermieri e fisioterapisti. Qui, in un centro di eccellenza della sanità pugliese, Tacconi è rinato. Gravina parla di lui come di un uomo «molto simpatico, forte, tenace, capace di non mollare mai e di andare avanti». A San Giovanni Rotondo, Tacconi è stato accompagnato dalla fede e dalla devozione per Padre Pio. La moglie Laura lo portava nel santuario del Santo di Pietralcina «ogni volta che poteva», ha raccontato l’ex portiere. E proprio da Laura arriva un abbraccio allo staff medico della Casa Sollievo della Sofferenza: «A San Giovanni Rotondo abbiamo trovato veramente un mondo di emozioni, di aiuto, di forza. Sia da parte della scienza, sia da parte della fede, con Padre Pio, al quale, come sapete, siamo sempre stati molto devoti. Siamo tornati a Milano con tutto questo nel cuore e nella mente».
Ha vissuto la degenza con un occhio sempre attento alle partite della sua Juventus. Dal 1982 al 1993 ha vinto in bianconero due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Uefa, una Coppa Uefa, una Coppa Intercontinentale e la Coppa dei Campioni del 1985, all’Heysel di Bruxelles contro il Liverpool, in una delle notti più tragiche per il calcio mondiale. Della Juventus è stato anche capitano, un amore lungo una vita. «Quando la Juve ha perso contro il Sassuolo - racconta il dottor Gravina - era triste, l’ho visto giù, ma gli ho spiegato che per fortuna avrebbe ancora avuto molte partite da guardare». Grande tifoso dell’Inter, Gravina si è spesso sentito dire: «Ma doveva proprio capitarmi un medico interista?», con tanto di sorrisi e sfottò, che sono il sale del gioco più bello del mondo. 
Nei suoi quattro mesi a San Giovanni Rotondo ha raccontato spesso aneddoti, quelli di una vita vissuta nel calcio, da portiere. Spesso gli è stata fatta la domanda sull’avversario più forte contro cui aveva giocato, o le varie curiosità sui compagni di squadra. «L’aneddoto che raccontava più spesso era il gol subito sulla punizione indiretta calciata da Diego Armando Maradona. A volte si innervosiva, perché ci diceva che a distanza di tanto tempo non ha ancora capito come abbia fatto Maradona a fargli gol». Tacconi ora è tornato a casa, nella sua Milano, ma con San Giovanni Rotondo nel cuore. Non avrà preso quella parabola impossibile di Maradona, ma ha parato e salvato la propria vita. Ed è la sua vittoria più importante, in una partita giocata in casa in Puglia.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA