Dirigenti e prof bocciano i box divisori: «Occorre ripensare gli edifici»

Dirigenti e prof bocciano i box divisori: «Occorre ripensare gli edifici»
di Serena COSTA
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Sabato 6 Giugno 2020, 08:37 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 21:05
Alunni nel “quarantine box”? «Così la didattica non esiste, tanto vale tornare alle lezioni a distanza». Dirigenti scolastici e prof non fanno sconti sull’ultima idea esternata dal ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, di installare per ciascun banco panelli divisori in plexiglas. Perché, se l’idea legittima è quella di tornare tutti in classe a settembre, dopo un secondo quadrimestre da dimenticare, è anche vero che l’utilizzo di queste sorte di box, per chi lavora nella scuola da anni, avrebbe l’effetto di creare negli alunni una barriera psicologica. E c’è anche chi, scherzosamente, prefigura un futuro da sportellisti per i ragazzi “barricati” dietro questa quarta parete, trasparente per gli occhi, ma forse non per il cuore. Il coro di “no” è unanime, tra prof e presidi, e il problema non è più nemmeno l’insufficienza dei fondi a coprire gli acquisti dei vari dispositivi di protezione individuale, ma si tratta della qualità dell’insegnamento e dei valori fondanti la scuola.

«Non possiamo più vivere nell’emergenza – chiarisce Patrizia Carra, dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo “Commenda” di Brindisi –. Perché, se i problemi di questo millennio, come sta emergendo sempre di più, sono pandemie e disastri ambientali, non possiamo più usare strumenti dell’ultimo minuto, ma occorre ripensare a livello strutturale un intervento sulle scuole, in particolare rispetto all’edilizia: per come sono concepite attualmente, non riescono più a fronteggiare queste situazioni. Con la didattica a distanza, in questi 4 mesi, abbiamo già affrontato un’emergenza di cui nessuno avevo compreso la gravità, ma ora lo sappiamo e dobbiamo agire per tempo, non creare palliativi che non risolvono la situazione: i pannelli in plexiglas sono questo. Preferirei stare altri 2 mesi in casa, con la didattica a distanza, ma sapere che nel frattempo si stia cambiando la struttura dell’edificio, piuttosto che usare questi box, che fanno venire meno la funzione della scuola, che è socializzare: la scuola è palestra di vita e perciò deve essere realmente vita, non un metro quadro di sopravvivenza. E poi, ci sono comunque i corridoi comuni, i bagni e le palestre. Solo per pulirli servono tanti collaboratori scolastici in più».

Stessa riflessione è portata avanti da Giovanna Stefanelli, docente di matematica del liceo scientifico “Banzi” di Lecce: «Non vedo bene i pannelli divisori, perché in classe ci si deve basare su una comunicazione positiva con i ragazzi, è molto importante il clima che si crea: usare questi dispositivi significa isolare e mettere forme di separazione comunicativa, mentre l’ambiente scolastico dovrebbe stimolare l’unione e la comunicazione. Sono sicura che inibirebbero i ragazzi dal fare interventi, soprattutto nella scuola primaria, mentre forse i ragazzi più grandi si muoverebbero con più disinvoltura. E poi, secondo me, sarebbero dannosi anche per lo stesso apprendimento. Temo che alla base ci siano difficoltà da parte del Miur a gestire il problema, perché nella task force sono state inserite persone che non operano nella scuola e che sono distanti dagli standard attuali. A questo punto, sarebbe meglio ridurre il numero di ore dell’anno scolastico per fare una turnazione delle classi, con didattica a distanza e in presenza».

Critica anche Loredana Di Cuonzo, preside del liceo classico e musicale “Palmieri” di Lecce: «L’ultima proposta del ministro Azzolina relativa alla realizzazione di schermi in plexiglass sembra essere poco praticabile in termini di tempo e costi. Il materiale ha subito incrementi di prezzo davvero significativi e comunque non garantirebbe il distanziamento in sé. Bisognerebbe prevedere pannelli davvero molto alti e gli studenti, in ogni caso, non sono birilli immobili. La funzione del plexiglass potrebbe essere pari a quella di una visiera unita allamascherina».

I quarantine box potrebbero essere oggetto della creatività dei ragazzi, soprattutto i più piccoli, in una sorta di gioco alla scoperta dell’identità per Angelo Villani, docente di sostegno tarantino, che attualmente lavora un istituto professionale di Susa, in provincia di Torino: «Per contemperare salute e pedagogia ci vuole tanta empatia, ma vedo che la scuola sta diventando un luogo alieno, in cui la didattica è un dover fare senza venire incontro alle reali esigenze dei ragazzi. Già è arduo fare scuola in situazioni normali, perché occorre sapersi avvicinare ai ragazzi: finora, solo in presenza siamo riusciti a ottenere un rendimento migliore da parte degli studenti “più difficili”. Ma se in una scuola alzi le barricate, diventa una battaglia complicata, perché invece bisogna andare loro incontro. Da architetto, posso allora immaginare che i ragazzi personalizzino i box con adesivi, scritte, peluche, come se fosse la loro piccola casa, e che si possa instaurare un gioco, soprattutto con i più piccoli, per passare da box della distanza a box della creatività. Bisognerebbe trasformare il disagio in scoperta, giocarci su».
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