Ranking università: nel Mezzogiorno Bari è la seconda

Ranking università: nel Mezzogiorno Bari è la seconda
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Martedì 26 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 18:26

L’Università di Bari è al secondo posto nel Sud Italia nella classifica internazionale elaborata dal Center for World University Rankings, che conferma le prime tre posizioni assolute a livello mondiale all’Università di Harvard, al Mit di Boston e alla Stanford University.
La posizione complessiva delle Università pugliesi può sembrare in alcuni casi tutt’altro che edificante, ma se si considera che sono stati censiti 20mila atenei e che la classificazione è appunto a livello mondiale, ecco che il 411esimo posto raggiunto dall’Università di Bari assume tutt’altro significato. Il ragionamento vale anche per le altre pugliesi, benché più in basso in classifica: l’Università del Salento è in 761esima posizione, più avanti comunque rispetto al Politecnico di Bari (all’828esimo posto), mentre per trovare in classifica l’Università di Foggia bisogna scendere fino allaposizione numero 1.326.
La classifica, che elenca le prime 2.000 università internazionali su circa 20mila scrutinate in 96 Paesi, è basata su 4 indicatori: qualità dell’istruzione, l’occupabilità, la qualità della facoltà e la ricerca. 
Per quanto riguarda i principali atenei italiani, La Sapienza di Roma si piazza prima, confermando la 113esima posizione a livello mondiale e guadagnando la 37esima in Europa (+1 rispetto allo scorso anno). Poi, Padova (170esima), Milano (179) e Bologna (181). Agli ultimi posti della classifica tra gli atenei italiani troviamo l’università di Cassino (64), quella di Bergamo (65) e l’Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria (66). 

Servono investimenti

Nonostante i lusinghieri risultati degli atenei italiani, dal Center for World University Rankings mettono in guardia: «Sebbene i risultati delle classifiche di quest’anno mostrino che l’Italia ha un buon sistema di istruzione superiore, ulteriori finanziamenti dovrebbero essere investiti nell’istruzione e nella ricerca se il Paese aspira ad aumentare la propria competitività sulla scena globale. Poiché la ricerca è un fattore chiave per valutare le prestazioni delle istituzioni nazionali, rispetto ai colleghi di tutto il mondo le università italiane avranno sempre più difficoltà a competere in futuro con le università d’élite ad alta intensità di ricerca se il governo non aumenta la spesa per la ricerca scientifica». 
Lo studio sottolinea tra l’altro che «il Covid-19 sta cambiando il modo di fare insegnamento e ricerca» e che l’Europa rimane un importante attore con 30 istituzioni tra le prime 100 e 640 tra le prime 2000, ma il quadro generale per il 2022 è cupo per la crescente concorrenza globale.

Anche se gli Stati Uniti, nonostante rivendichino 28 dei primi 50 posti in tutto il mondo, vedono solo 51 atenei migliorare rispetto allo scorso anno, con 22 che mantengono il loro posto e 262 che scendono in classifica. Un quadro misto caratterizza infine la situazione in Asia. 

Per quanto riguarda i criteri esaminati nei dettagli, la voce Istruzione si riferisce al successo accademico degli studenti di un’università, ed è misurata da quanti hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti accademici. Poi c’è l’aspetto legato all’occupazionale, basato cioè sul successo professionale una volta finito il percorso universitario, e misurata dal numero di studenti che hanno ricoperto posizioni apicali in importanti aziende.
Un altro indicatore riguarda la “Facoltà”, misurata dal numero di coloro che hanno vinto prestigiosi riconoscimenti accademici. Infine la ricerca, prendendo in considerazione il numero totale di articoli di ricerca, le pubblicazioni di alta qualità (ossia su riviste di alto livello), l’influenza (gli articoli di ricerca pubblicati sempre su riviste di alto livello) e infine le citazioni, da intendersi come il numero di articoli di ricerca altamente citati.

Occupazione

Intanto, a proposito dell’occupazione una volta usciti dall’università nonostante la fase di rallentamento dell’economia, la richiesta di ingegneri da parte del sistema produttivo continua ad essere elevata. Anche gli studi professionali di minori dimensioni, in questo momento, sono alla ricerca di ingegneri, spesso difficili da reperire. A rilevarlo è il Centro Studi Cni attraverso un approfondimento dei dati del Sistema informativo Excelsior Unioncamere-Anpal. Dei 76.200 lavoratori e lavoratrici operanti nelle professioni ad alta specializzazione, richiesti nei prossimi mesi, ben 18.000 riguardano i laureati in ingegneria e professioni assimilate (di cui 13.720 ingegneri). Tra le professioni ad alta specializzazione scientifica e tecnica, gli ingegneri sono in questo momento i più richiesti. Oltre ai 18.000 laureati in ingegneria di cui il mercato avrebbe bisogno, si aggiungono, nell’ambito di chi opera con mansioni tecniche, altri 14.850 tecnici in ambito ingegneristico. Nello specifico, si stima un fabbisogno di oltre 4.000 laureati in ingegneria civile e architettura, oltre 4.000 laureati in ingegneria elettronica e dell’informazione, 4.000 laureati in ingegneria industriale e circa 1.200 laureati in altri indirizzi di ingegneria. Permane, tuttavia, un forte gap tra la domanda del sistema produttivo e la reperibilità di professionisti altamente specializzati.

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