In Puglia reggono porti e trasporti alla prova green pass ma preoccupa la “catena”: «Rischio per la logistica»

In Puglia reggono porti e trasporti alla prova green pass ma preoccupa la “catena”: «Rischio per la logistica»
In Puglia reggono porti e trasporti alla prova green pass ​ma preoccupa la “catena”: «Rischio per la logistica»
di Alessio PIGNATELLI
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Sabato 16 Ottobre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15:02

Porti e trasporti, la grande paura è passata. Per ora. In Puglia il sistema ha tenuto come avevano pronosticato gli stakeholder ma il timore principale è sempre stato un altro. Cioè quello relativo alla catena, alla filiera, al sistema strettamente connesso in tutta Italia e non solo. Ecco perché le proteste nello scalo di Trieste - ma anche a Genova e Ancona, in misura minore - pongono degli interrogativi importanti nonostante non ci sia stato un blocco totale. Chi voleva lavorare ha potuto farlo ma delle ripercussioni ci sono state. E, per il futuro, occorre capire come evolverà questa situazione.

La situazione in Puglia

Una premessa doverosa. Ieri, nella regione, si è tirato un sospiro di sollievo nel primo giorno di entrata in vigore dell’obbligo del green pass anche sui luoghi di lavoro. Nei cinque porti adriatici di Manfredonia, Barletta, Bari, Monopoli e Brindisi tutto tranquillo. «E questo perché la percentuale di vaccinati nei nostri porti credo che sia una delle più alte d’Italia, con punte che superano il 98-99% e non scendono mai al di sotto il 92%» osserva Ugo Patroni Griffi, presidente dell’Autorità portuale del mare Adriatico meridionale. Sull’altra sponda del mar Ionio, analoga soddisfazione. Nessuna criticità nel porto di Taranto dove oltre il 95% dei lavoratori ha completato il ciclo vaccinale ed è in possesso del green pass.

Anche la circolazione di treni e bus è stata regolare e non si sono registrati disagi. Ma occorre allargare la visione per capire la delicatezza del quadro. «Il sistema logistico italiano, avendo storicamente una sovrabbondanza di strutture portuali, si è da sempre contraddistinto per un’eccessiva frammentazione della supply chain (catena di approvvigionamento ndr) - spiega Carmelo Sasso, segretario generale jonico della Uiltrasporti - Questa abbondanza di porti ha fatto sviluppare una catena logistica corta e localistica in cui ogni porto non si sviluppava in base alle sue caratteristiche e peculiarità bensì in base ai fabbisogni del mercato locale di riferimento.

E ha fatto inseguire una sempre maggiore dimensione e capacità dei porti del nord est e nord ovest che naturalmente erano asserviti alle necessità del triangolo industriale e della pianura padana».

A questa graduale “over capacity” portuale non si è saputo affiancare una adeguata rete di interporti e magazzini territoriali provocando un ulteriore accorciamento della catena logistica sempre frammentata e protesa verso il “just in time”. Inoltre, si deve rimarcare lo storico mancato sviluppo dell’intermodalità ferroviaria e il massivo utilizzo del trasporto su gomma. Il sistema logistico, fortemente stressato e vulnerabile, presenta quindi i cosiddetti colli di bottiglia che possono provocare in breve danni importanti a tutta la catena. «Basti citare un dato che rende immediatamente l’idea della situazione del nostro paese che emerge dalle ultime statistiche nazionali - aggiunge Sasso - che stima un’autonomia di approvvigionamento di materie alimentari e farmaci di 5 giorni. Basterebbero quindi solo 5 giorni di fermo del sistema portuale e logistico italiano per mettere in ginocchio il nostro Paese: crediamo sia questo il dato su cui riflettere con attenzione».

I rischi

Ecco il punto. Tant’è che secondo Coldiretti il caos trasporti legato alle proteste contro il green pass mette a rischio il record dell’export agroalimentare Made in Italy, stimato a quota 50 miliardi nel 2021 con un aumento del 12,1% rispetto all’anno precedente. Ma non solo. «Il punto critico è legato anche allo stop delle materie prime che in questo periodo storico rappresentano un grave problema - racconta Piero Conversano, presidente Federmanager Puglia - se ci fossero pure blocchi portuali sarebbe un disastro. Trieste è stata individuata come canale privilegiato che riceve merci da Suez nonostante i tanti porti del Mezzogiorno come Taranto. Non si può fermare il paese perché una minoranza protesta». In questo contesto, le merci sono a rischio per un ulteriore ostacolo. L’aumento del costo del carburante sta dando il colpo di grazia alle imprese dell’autotrasporto.

Caso autotrasporto

«L’impennata spaventosa dei prezzi sta mettendo ancora una volta a dura la nostra categoria - commenta Giacinto Fallone, referente della categoria autotrasporto di Casartigiani - Basti pensare che il gasolio e il metano hanno avuto un aumento del 30%. Ciò significa che per il rifornimento ad un camion (il pieno è di 860 litri) spendiamo in media 250 euro in più rispetto a gennaio. L’Adblue, prodotto antinquinamento, nel giro di pochi giorni è salito da 0,33 a 0,44 più Iva a litro all’ingrosso. Anche il metano è passato da 0,77 a oltre 2 euro al chilo. Siamo fuori dal mercato così. Il carburante rappresenta allo stato attuale il 50% del nostro fatturato. Lavoriamo a perdere e di questo passo sicuramente non arriveremo a fine anno».

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