Emiliano: «Sull'autonomia sarà battaglia. Lep, servono 60 miliardi. Siamo pronti a difendere il Sud». L'intervista

Il governatore commenta l'approvazione del Ddl Calderoli

Emiliano: «Sull'autonomia sarà battaglia. Lep, servono 60 miliardi. Siamo pronti a difendere il Sud». L'intervista
di ​Paola ANCORA
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Sabato 4 Febbraio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 5 Febbraio, 09:06

Presidente Michele Emiliano ha annunciato il muro contro muro con il Governo, ora che l’Autonomia ha ottenuto il suo primo via libera. Cosa intende? Cosa devono aspettarsi i pugliesi e i cittadini del Mezzogiorno?
«Abbiamo cercato in ogni modo, nei mesi scorsi, di trovare una strada per evitare lo scontro, anche per quella grande parte del Paese che di Autonomia non vuole parlare per principio, perché ritiene che questo non sia il momento di pensare a una riforma dello Stato. Avevamo trovato un’intesa che sostanzialmente prevedeva che l’Autonomia differenziata fosse preceduta da un riequilibrio generale di prestazioni e risorse sui territori regionali e, solo dopo questo riequilibrio, consentisse la stipula di intese fra le singole Regioni e il Governo per determinare il trasferimento di poteri aggiuntivi. Si prevedeva insomma il finanziamento dei Lep, con un piano spalmato nel lungo periodo, per consentire a chi ha meno asili, ospedali, infrastrutture, di recuperare terreno».
E invece non è andata così. Anzi. Il Ddl Calderoli non chiarisce come saranno finanziati i Lep e prevede l’invarianza finanziaria, ossia nessuna maggiore spesa a carico dello Stato. Cosa ne pensa?
«Con il sì di ieri al Ddl Calderoli quell’intesa cui accennavo è saltata. E non solo è prevista, all’articolo 8, l’invarianza della spesa, ma manca un riferimento al Fondo di perequazione, che con gli allora ministri Boccia e poi Carfagna era previsto, sebbene non in misura sufficiente. Si trattata di 4,5 miliardi di euro, quando per finanziare i Lep ne servirebbero fra i 50 e i 60, ma almeno era un segnale nella giusta direzione, un segnale di buona volontà. Ora si prevede, invece, che le materie delegate alle Regioni dopo le singole intese vengano finanziate sulla base della fiscalità regionale e, solo qualora questa fosse insufficiente, interverrebbe lo Stato a finanziare la differenza. Anche un bambino capisce che così si favoriscono le Regioni con maggiore forza fiscale, mettendo i bastoni fra le ruote a tutte le altre. Persino il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che inizialmente era, fra i governatori del centrosinistra, il più favorevole all’Autonomia, ha detto che la misura è colma e la collaborazione finita». 

Quali iniziative intendete assumere?
«Pensiamo a una grande battaglia politica, alla quale inviteremo tutti i parlamentari, i presidenti delle Regioni, i sindaci e i ministri, perché no. Il primo che dovrebbe partecipare è il ministro Fitto: dica da che parte sta. La sua appartenenza politica ha meno valore di quella territoriale e lui è un uomo del Mezzogiorno».
Presidente, tornando per un attimo a Bonaccini. Lei lo sostiene anche nella sfida del congresso Pd, che vede il presidente dell’Emilia candidato alla segreteria nazionale. Bonaccini ha firmato l’intesa preliminare per l’Autonomia, come i governatori del Veneto e della Lombardia. Oggi si dice contrario al Ddl Calderoli, ma quell’intesa resta. Sa come si dice: verba volant, scripta manent. Non lo trova sbagliato, intellettualmente poco onesto, anche nei confronti del vostro elettorato al Sud?
«Dio non voglia, ma se l’Autonomia dovesse arrivare alla portata anche delle Regioni del Sud, ci difenderemo con tutti i mezzi possibili, restando dentro questo percorso.

Ma quello che ci auguriamo oggi è che tale iter non parta nemmeno. Il Governo si trova in una difficoltà finanziaria così grave che è impensabile poter finanziare i Lep. La premier Meloni, non a caso, ha più volte dimostrato freddezza sul tema e credo che nel centrodestra non siano arrivati al conflitto aperto perché l’Autonomia è un elemento fondamentale dell’alleanza fra Lega e Fratelli d’Italia». 

Butta la palla in tribuna?
«No, analizzo quello che ho sotto gli occhi. Per la Lega è ora fondamentale offrire alla Lombardia il risultato “simulato” dell’approvazione di questo Ddl in Consiglio dei Ministri. Si tratta di una preadozione, che non ha nessun significato giuridico. Un parere favorevole del Governo, parere che ora approderà in Conferenza delle Regioni e vedremo cosa accadrà. Dunque giovedì abbiamo assistito a un pezzo della campagna elettorale in Lombardia: la Lega teme di farsi surclassare da FdI, che potrebbe doppiare il risultato elettorale degli alleati. Una cosa del genere avrebbe conseguenze sull’alleanza di governo e nella Lega. Dunque penso e spero che, subito dopo le elezioni, sull’Autonomia scenderà il silenzio. Se, invece, fanno sul serio andremo alla battaglia».
I “grandi vecchi” del centrosinistra hanno fatto mea culpa per il varo della riforma del Titolo V della Costituzione che ha, di fatto, aperto la porta a questo nuovo percorso sul regionalismo. Cosa ne pensa?
«Dare oggi delle colpe è facile, ma del tutto inutile. La via maestra per cambiare la Costituzione resta per me l’articolo 138, che prevede maggioranze qualificate e approvazioni multiple. L’articolo 116, cui ci si appella oggi per l’Autonomia, è una scorciatoia che somiglia al percorso da seguire per stringere intese con le varie confessioni religiose, rispetto alle quali il Parlamento deve limitarsi a dire sì o no. Il Parlamento, su temi di simile portata, deve invece essere centrale. Nel 2000, il centrosinistra, cui non lesino mai critiche, inseguiva la Lega per evitare la secessione del Paese e avrà compiuto delle imprudenze, ma questa critica non può certo essere attribuita al centrosinistra di oggi». 

Il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana, si è detto molto preoccupato degli effetti dell’Autonomia sul debito pubblico italiano. Condivide la preoccupazione?
«Certo. Immagini un’impresa che ha più sedi sul territorio nazionale e che gestisce attività complesse, come l’energia, le infrastrutture, le banche. In base ai territori dove ha una sede, dovrà interfacciarsi con i governi regionali o con il nazionale. Torniamo a una condizione di Stato pre-unitario, che intralcia lo sviluppo e la ripresa».
L’ex direttore del Censis, Giuseppe Roma suggeriva di far pagare il debito pubblico alle Regioni che avvieranno l’Autonomia, naturalmente in quota parte proporzionale al Pil territoriale. Una provocazione suggestiva, non trova?
«Avrebbe certamente una sua logica, pur essendo contabilmente impossibile perché le Regioni non dispongono di un meccanismo per mettere a bilancio il deficit dello Stato che non hanno contribuito a determinare. Ma dal punto di vista logico, il professore dice una cosa che ha un suo fascino». 

Si è pentito di aver strizzato l’occhio all’Autonomia, inizialmente?
«L’avrò al massimo esaminata, valutata, ma mai appoggiata. In una fase in cui se ne parlava ancora in maniera accademica, ho detto che - se fosse necessario – la Puglia sarebbe pronta perché saprebbe gestire più funzioni senza contraccolpi. Ma il vantaggio che il Nord trarrebbe da questa Autonomia renderebbe impossibile l’aggancio del Sud al resto del Paese».
Il suo messaggio alla premier Meloni. 
«Se crede davvero nell’Autonomia differenziata sta sbagliando e dovrà affrontare una durissima battaglia. Se non ci crede, come io penso, questa tattica per portare la Lega alla disfatta è scorretta e sleale. Persino i leghisti non si meritano un trattamento del genere».

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