«Il mio Consiglio fu sciolto per mafia, ma poi fui assolto. La legge va cambiata». Il racconto di Massimo Lanzilotti

«Il mio Consiglio fu sciolto per mafia, ma poi fui assolto. La legge va cambiata». Il racconto di Massimo Lanzilotti
di Luigi LUPO
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Venerdì 22 Marzo 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:38

Il Comune fu sciolto per infiltrazioni mafiose ma sia il sindaco sia il presidente del consiglio, sono stati assolti dalla giustizia penale. E Massimo Lanzilotti, alle successive elezioni, è tornato primo cittadino di Carovigno. La sua storia diventa emblematica delle presunte storture del testo unico che disciplina lo scioglimento dei comuni. «Bisogna cambiare una legge vecchia trent’anni – inserendo l’elemento del contraddittorio». Lanzilotti ha avuto la possibilità e la fortuna di essere rieletto. Ma per molti altri lo scioglimento, anche quando la giustizia penale racconta una storia diversa da quella presentata dalle prefetture, diventa uno stigma. Che si aggiunge al paradosso di un’assoluzione dopo il processo penale, scaturito dall’operazione Reset, inchiesta della Dda di Lecce e della Procura di Brindisi su una presunta compravendita di voti in occasione delle elezioni amministrative del 2018 e sulla gestione del parcheggio dell'area marina protetta di Torre Guaceto.

Lanzilotti doveva rispondere anche di corruzione elettorale.

L’accusa aveva formulato richieste di condanna pari a 5 anni a carico dell’ex sindaco e a 4 anni e 6 mesi nei confronti dell’ex presidente del consiglio comunale. Entrambi assolti “perché il fatto non sussiste”.

Sindaco, cosa è accaduto a Carovigno durante la sua prima esperienza alla guida della città?
«La nostra vicenda parte con la vittoria al primo turno nel 2018 a Carovigno. A giugno del 2020, due anni dopo, io e il presidente del consiglio siamo stati raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare per voto di scambio politico-mafioso. Quindici giorni dopo, in tempi record, prima di Decaro, si insedia la commissione ispettiva. Dopo tre mesi, prorogati per altri tre, arriva a fine dicembre lo scioglimento del comune. A settembre 2021 veniamo assolti “perché il fatto non sussiste” dopo il processo con rito abbreviato. La procura non presenta appello. Nel frattempo, la commissione si era insediata. Ma, nonostante l’assoluzione, la sua presenza è stata prorogata. Durando fino a due anni e mezzo. Dopo le elezioni, sono tornato sindaco».
Cosa ci dice la sua vicenda sull’iter che porta al provvedimento amministrativo?
«La magistratura va a ribaltare le inchieste che passano sui tavoli della prefettura e del Ministero. E la sentenza dice che l’amministrazione non è stata permeabile all’amministrazione. La vicenda mostra le storture di una legge che in molti stiamo provando a cambiare. La giustizia amministrativa non può essere separata dal piano penale. Lo scioglimento non è preventivo: diventa sanzionatorio».
 

I fattori decisivi per lo scioglimento, ovvero gli elementi “univoci, concreti e rilevanti”, appaiono leggermente vaghi. È d’accordo?
«Assolutamente sì, ci sono tantissimi casi di comuni sciolti dove, poggiandosi su questi elementi, si è premuto sull’acceleratore. A Carovigno il giudice per le udienze preliminari ha appurato che l’amministrazione aveva atti addirittura contrari all’inquinamento mafioso. Come sindaci, non possiamo accedere a documenti che sono secretati: così l’ispezione diventa un giudizio unilaterale».
Come potrebbe essere cambiata la legge?
«La legge va modificata. Bisogna inserire l’aspetto del contraddittorio per far sì che i sindaci possano spiegare i vari aspetti amministrativi. Dietro ogni sindaco, ci sono vite e famiglie. Diventa difficile vivere dopo questi atti di scioglimento. Che diventano un marchio per chi li subisce».
 

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