Precario, poco retribuito, penalizzante per donne e giovani. Il lavoro in Puglia c’è, sarebbe anche diffuso, ma non se la passa bene. E il dato mette d’accordo Cgil e Confindustria, sindacato e imprenditoria locali. Solo il 6% dei 592mila contratti attivati in Puglia nei primi sei mesi del 2023 è a tempo indeterminato. Il resto appartiene alla categoria dei contratti a tempo determinato o, peggio, relegati in forme precarie.
Una modalità di lavoro sempre più diffusa in regione, fonte di povertà e di emigrazione verso altre regioni. Con il rischio di una desertificazione demografica e sociale. È uno degli impietosi dati che fotografano lo stato del lavoro nella regione emersi ieri nel convegno “Come sta il lavoro?”, organizzato dalla Cgil nella sede regionale di Bari che ha visto confrontarsi la segretaria regionale, Gigia Bucci, e il presidente di Confindustria Puglia, Sergio Fontana. L’incontro è stato moderato dal giornalista Michele Mascellaro.
I dati
I numeri parlano chiaro: le occupazioni precarie riguardano numerose categorie. Non va meglio per chi possiede alte competenze: solo il 10% di loro ha ottenuto posti di lavoro, sempre nel primo semestre dell’anno da poco trascorso. E le donne restano penalizzate: i posti di lavoro sono in maggioranza, del 60%, appannaggio degli uomini. «Bassi salari – ha spiegato la segretaria - e diffuso precariato caratterizzano il mercato del lavoro italiano che analizzato con la lente pugliese presenta criticità ancora più accentuate. Oltre il 90% dei rapporti di lavoro che si attivano sono precari e prevalgono settori a basso valore aggiunto, in primis agricoltura e terziario, oltre una forte intermittenza e stagionalità che trascina ancor più verso il basso i salari". Ecco che si arriva al paradosso: si lavora, anche tanto, ma si resta poveri. "La condizione per cui oggi si è poveri anche lavorando è diffusa – ha aggiunto Bucci - e dovrebbe essere la prima emergenza che la politica dovrebbe affrontare. Invece abbiano un Governo che taglia le risorse di sostegno ai redditi, precarizza ancor più il mercato del lavoro liberalizzando voucher, tempi determinati e somministrazione, non c'è alcuna politica di sviluppo industriale, si taglia il welfare e non si sostiene una politica di rinnovi contrattuali che provino a recuperare quell'inflazione che ha fortemente eroso i redditi da lavoro».
Gli impieghi
Chi lavora nel tacco d’Italia, deve confrontarsi con impieghi di scarsa o media qualità. «In Puglia – ha spiegato il leader degli industriali pugliesi - si registra il tasso più alto di occupazione al Sud. Tuttavia al positivo dato quantitativo non corrisponde un mercato del lavoro dinamico da un punto di vista qualitativo. Si tratta principalmente di occupati con una qualifica professionale medio-bassa assunti per lo più con contratti a tempo determinato. Oggi giorno perdiamo importanti quote di capitale umano: giovani competenti che preferiscono trasferirsi altrove e donne che non lavorano. Una perdita enorme di ricchezza perché il lavoro crea ricchezza, abbiamo necessità di politiche attive, diventando attrattivi per le nostre risorse umane». Eppure le risorse per cambiare, migliorare il settore ci sarebbero. Secondo Confindustria ci sono a disposizione ingenti risorse da spendere bene e in tempi brevi. Il sud non ha bisogno di reddito di cittadinanza e di assistenzialismo a vita. Con Cgil condividiamo la necessità di un lavoro sano, ben retribuito e non precario». Entrambi d’accordo sulla necessità di cambiamento. Che riguardi l’Italia ma in particolare il Sud. Un’invocazione al governo e alle istituzioni europee.