Guerra in Ucraina, la rivolta del pane: i fornai della Puglia in crisi

Guerra in Ucraina, la rivolta del pane: i fornai della Puglia in crisi
di Alessio PIGNATELLI
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Martedì 8 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 16:00

«È buio totale. Ho paura che andando avanti così si sbatta contro un muro». Non lascia molto spazio all’immaginazione il pensiero di Franco Muci, vicepresidente nazionale Federazione panificatori italiani e responsabile leccese dell’associazione Panificatori Artigiani di Lecce: il conflitto in Ucraina ha strascichi su diversi settori economici ma, probabilmente, quello del grano è il più impattato. Soprattutto il comparto della panificazione che utilizza cereali, mais e grano che vengono importati da Russia, Ucraina e Bielorussia è colpito duramente. In particolare, dal grano tenero si fa la farina per produrre pane, farina e dolci e in Ucraina si coltiva un prodotto particolare molto proteico da cui si ricavano farine speciali per i dolci. 

L'impennata non si ferma

Negli ultimi giorni l’impennata dei prezzi ha interessato proprio il grano tenero (+9,4%) e il mais (+11%) anche in Italia, sulla scia di quanto accade giornalmente nei mercati finanziari di Chicago e Parigi. Il grano tenero è salito di 30 euro a tonnellata oscillando tra 342 e 351 euro a tonnellata, con punte di 395 per il prodotto a più alto valore proteico. Il mais, invece, ha segnato +11%, passando da 297 a 330 euro a tonnellata.

Tutto questo si riverbera sul sistema pugliese e non solo.

«In questo momento stiamo attraversando un periodo di paura e terrore - racconta Muci - I panificatori sono in allarme per i rialzi continui in aggiunta rispetto a quelli dei carburanti. Ogni giorno vengo sollecitato a intervenire, si rischia di rimanere senza materia prima. Ci sono lamentele continue e richieste di adeguamento del prezzo perché tanti fornai non ce la fanno. Non si riesce a far fronte al prezzo stabilito perché già all’indomani ci sono variazioni: non si riesce a pianificare».
E questa situazione ha modificato anche i pagamenti: un tempo erano concessi a 60 o 90 giorni, oggi solo allo scarico della merce perché i grossisti hanno necessità di liquidità immediata.

Il problema Ungheria

In questi giorni, inoltre, il sistema rischia di saltare per un effetto a catena e per le ripercussioni in altri Paesi. L’Italia potrebbe avere un problema di approvvigionamento di prodotti agricoli se l’Ungheria, da cui importiamo quasi il 30% di grano tenero e il 32% di mais, confermasse l’intenzione manifestata in questi giorni di limitare le esportazioni per coprire il fabbisogno interno e far fronte ad una crisi più lunga. Il blocco dell’export ungherese si sommerebbe allo stop delle importazioni, a causa del conflitto in corso, da Russia e Ucraina che pesano per il 6% sul tenero e per il 15% sul mais che arriva nel nostro Paese. Le limitazioni decise dal governo magiaro aprono una crisi profonda per gli approvvigionamenti in Italia, per questo motivo è fondamentale l’intervento del Governo per far rispettare i principi di libero scambio all’interno dei Paesi dell’Unione Europea. L’amministratore di Consorzi Agrari d’Italia, Gianluca Lelli chiede di incrementare le nostre produzioni e garantire, attraverso i contratti di filiera, una filiera equa in ogni anello della catena, dal produttore al consumatore. 

«Non sappiamo fino a quando resisteremo»

«Già per i rincari delle bollette avevamo subito un danno gravissimo - aggiunge Emma Prunella, segretaria dell’associazione Panificatori, Pasticcieri e affini della provincia jonica - Ora stiamo pagando lo scotto della guerra a causa degli aumenti del grano. Per i prodotti da forno, gas e grano sono fondamentali. Il grano sta arrivando a singhiozzo, abbiamo scorte ma i prezzi salgono. Il gas è salito tantissimo. La produzione interna del grano non è sufficiente, abbiamo lasciato le campagne da tempo». 

Il prezzo della farina è salito alle stelle, con un aumento del 60 per cento rispetto allo scorso agosto. Sul territorio ci sono piccoli mulini e si rintuzzano queste difficoltà. Per adesso. «Perché non sappiamo fino a quando riusciremo a resistere. Se questa guerra perdura, non andremo da nessuna parte. Ricordiamoci che in tempi di carestia il prodotto principale è il pane, lo insegna la storia. Ma senza grano come si fa? C’è un altro problema: il pane dovrebbe costare 3,50 euro al chilo al banco ma in questo momento riesci solo a pagare le spese con questo prezzo. E le famiglie stanno tagliando i consumi».

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