Ex Ilva, Bernabè si è dimesso ma sul futuro di Acciaierie restano ancora molte nubi

Ex Ilva, Bernabè si è dimesso ma sul futuro di Acciaierie restano ancora molte nubi
di Domenico PALMIOTTI
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Venerdì 24 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 25 Novembre, 20:10

Ora è ufficiale. Franco Bernabé si è dimesso dalla presidenza di Acciaierie d’Italia Holding, l’ex Ilva. Bernabè - insediatosi a metà 2021 - nell’assemblea dei soci svoltasi ieri ha formalizzato quanto aveva annunciato tempo addietro e comunicato alla Camera nell’audizione di metà ottobre («Ho rimesso il mandato nelle mani del Governo perché decida in piena libertà»). Tuttavia i soci di Acciaierie (principalmente Arcelor Mittal) gli avrebbero chiesto di restare. Almeno temporaneamente sino alla prossima assemblea. Oltretutto, un successore di Bernabé non sarebbe stato ancora trovato. Le dimissioni di Bernabé appaiono l’unico punto fermo dell’assemblea. Perché sul resto, ovvero sulla parte più importante (e attesa), e cioè come l’attività dell’ex Ilva sarebbe proseguita, con quali risorse e con quali obiettivi, non è accaduto nulla. Nessuna svolta. L’assemblea è rimasta tecnicamente aperta e si è aggiornata a martedì prossimo. Fonti dell’azienda dicono che ci sono stati “passi avanti” confermando l’aggiornamento dei lavori alla settimana entrante. 

La ricostruzione

Altre fonti interpellate da Quotidiano sostengono che il socio pubblico Invitalia era disponibile a fare la sua parte (Invitalia detiene il 38 per cento della società contro il 62 per cento di Mittal) e a intervenire, in misura proporzionale, per il fabbisogno finanziario urgente dell’ex Ilva, ma il privato Mittal ha chiesto tempo. Di qui lo scivolamento a martedì, su richiesta del privato. Non si sta parlando, in questa fase, di quanto serve all’azienda per affrontare l’impegnativo piano di rilancio industriale (parliamo di un ordine di grandezza superiore ai 5 miliardi di euro), ma della contingenza per i mesi a venire, ovvero di 320-380 milioni, estensibili sino a mezzo miliardo. Invitalia su questo era pronta, il privato non ancora. Nell’assemblea, il socio pubblico avrebbe ribadito la sua linea e cioè che se interviene lo Stato per sostenere Acciaierie, altrettanto deve fare Arcelor Mittal. Partendo sempre dai rapporti di forza: 38 e 62. Che è poi anche la linea enunciata in queste settimane dai ministri Giancarlo Giorgetti (Economia) e Adolfo Urso (Imprese). Già alla vigilia dell’assemblea si era fatta strada l’ipotesi che il Governo stesse premendo su una soluzione ponte. Ovvero, fare in modo che ciascuno dei due soci si caricasse pro quota di quanto serviva nell’immediato. La soluzione ponte, nelle intenzioni del Governo, avrebbe permesso di conseguire alcuni obiettivi. In primo luogo, abbassare la “febbre” di Acciaierie, dare all’azienda un minimo di respiro e iniettarle la liquidità necessaria almeno a sopravvivere. Certo, 320, 380 o 500 milioni, quest’ultima come ipotesi massima, sono una goccia nel mare delle necessità di Acciaierie, ma quanto meno l’azienda non sarebbe collassata, non avrebbe rischiato di fermare gli impianti, riuscendo ad acquistare un po’ di materie prime per la produzione e trovando forse anche un nuovo fornitore per il gas (servono un centinaio di milioni come anticipo, ha detto alla Camera Bernabé, ricordando che l’azienda è sotto l’ombrello protettivo del regime di default). Inoltre, la soluzione ponte, mettendo provvisoriamente al riparo le sorti dell’azienda, avrebbe consentito di guadagnare tempo per cercare di irrobustire la trattativa che il ministro Raffaele Fitto (Affari europei, Coesione, Sud e Pnrr) ha in corso con Acciaierie e Mittal sul filo del memorandum stipulato a metà settembre e del quale è stata tenuta all’oscuro Invitalia. Siccome il problema rilevante è la prospettiva dell’azienda, cioè come si affrontano gli oltre 5 miliardi di investimenti tra forni elettrici e decarbonizzazione, è evidente che qui serve un negoziato più complesso, articolato e probabilmente lungo. Anche perché se lo Stato si era detto disponibile a mettere sul piatto circa 2,2 miliardi del Repower Eu, ne consegue che pure l’onere di Mittal sarà miliardario, sempre che sia disposto ad accollarselo. In questo modo si sarebbe potuto probabilmente arrivare alla primavera del 2024, considerato che entro maggio del prossimo anno bisognerà sciogliere il nodo della cessione degli asset industriali. Che ora sono di proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria, ceduti in fitto ad Acciaierie. In verità, Acciaierie avrebbe dovuto formalizzare l’operazione di presa in carico degli asset già a maggio 2022. Ma gli impianti erano sotto sequestro, sia pure con la facoltà d’uso, e la richiesta di Ilva in amministrazione straordinaria di dissequestrarli, essendo ormai quasi tutte applicate le prescrizioni ambientali Aia, si infranse contro un doppio no: Procura e Corte d’Assise di Taranto, che si era già espressa con sentenza a maggio 2021 col processo “Ambiente Svenduto” (il reato di disastro ambientale contestato alla vecchia proprietà e gestione dei Riva). Rispetto a due anni fa, ora il passaggio degli asset potrebbe essere meno complicato in quanto una norma del dl “Salva Infrazioni” permette la cessione anche col sequestro, senza trascurare che l’Aia si è conclusa ad agosto scorso e che nel periodo 2022-2023 altre prescrizioni sono state attuate. 
In definitiva, un filo sembrava unire i diversi step: gestione dell’emergenza con l’intervento sulla liquidità, sviluppo e conclusione della trattativa sul futuro dell’azienda e sul piano di rilancio, cessione dell’azienda stessa ad Acciaierie. Il primo step, però, almeno per ora non è andato a buon fine visto quello che è successo ieri. Martedì si capirà se un’inversione di marcia è ancora possibile o se proseguirà la storia infinita.
 

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