Prestiti, è la burocrazia a strangolare le imprese: «Potrebbero non riaprire»

Prestiti, è la burocrazia a strangolare le imprese: «Potrebbero non riaprire»
di Massimiliano IAIA
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Sabato 11 Aprile 2020, 08:31 - Ultimo aggiornamento: 09:15

Non possono bastare i prestiti, non è sufficiente la maxi-erogazione di risorse, rischiano di non servire a nulla le opportunità ideate per dare ossigeno alle imprese, se non si opta per una semplificazione delle procedure. Gli appelli delle imprese e delle stesse Regioni nei giorni scorsi trovano ora conferma anche negli studi professionali che proprio in queste ore si stanno interfacciando con gli imprenditori e i professionisti che chiedono informazioni su come accedere alle risorse, non senza mostrare preoccupazione per il futuro delle proprie attività. «Il problema è sempre quello della burocrazia», premette il presidente dell'Ordine dei commercialisti di Lecce, Giuseppe Venneri.

Innanzitutto, le incognite riguardano i prestiti: stando a quanto disposto dal governo, dalle banche i prestiti fino a 25mila euro saranno automatici per piccole imprese, professionisti ed esercenti, senza dover più attendere la valutazione del merito creditizio, cioè senza più attendere il via libera del fondo di garanzia pmi, che comunque garantirà il 100% del credito erogato. E ancora, garanzie fino al 100% dei prestiti bancari concessi e fino a un massimo di 800 mila euro di importo, per le imprese che hanno ricavi fino a 3,2 milioni di euro, ma dietro obbligo di valutazione finanziaria e andamentale dell'attività. E, infine, garanzie fino al 90% del finanziamento bancario per le imprese fino a 5 milioni di euro, senza dover più superare alcun esame sulla tenuta finanziaria e sull'andamento dei conti.
«Il problema - fa notare Venneri - è che ci sono alcuni istituti di credito che fanno sapere di non essere ancora attrezzate per avviare questo percorso. Questo fa sì che bisognerà per forza di cose attendere, sottoporsi alla trafila che inevitabilmente prevederanno le banche, per non parlare dei piccoli intoppi che si verranno a creare se un richiedente avrà avuto, per esempio, un problema l'anno scorso. La gente ha bisogno di liquidità subito, non può permettersi di aspettare i tempi della burocrazia».

E dire che in Svizzera, si fa tutto anche in 48 ore. «Un foglio da compilare, pochi giorni di attesa e la somma è accreditata», raccontano gli imprenditori che in Svizzera stanno usufruendo delle risorse stanziate per fronteggiare l'emergenza. E a questo modello si sarebbe ispirata anche la Germania.

Sul fronte pagamenti, spiega Venneri, «ci aspettavamo scadenze prorogate almeno fino al 30 settembre, invece abbiamo assistito prima a rinvii di quattro giorni, poi solo di un mese e mezzo. D'altra parte, per tanti contribuenti pagare oggi Irpef o Irap è impensabile».
Un altro problema riguarda il bonus di 600 euro per professionisti e autonomi, che ha visto proprio nelle ultime ore un restringimento della platea dei beneficiari. È stato infatti stabilito che l'indennità spetta agli iscritti «in via esclusiva» alle Casse di previdenza private «non titolari di trattamento pensionistico». Sono gli stessi commercialisti a lamentarsene: «Anche noi siamo in trincea - dice Venneri -, nel senso che ci mettiamo a disposizione del cittadino per aiutarlo tecnicamente in questa fase così complicata, eppure non abbiamo diritto al bonus. Siamo bistrattati dallo Stato».

Una beffa doppia per gli studi professionali, alle prese con una clientela che per ovvie ragioni è in difficoltà a pagare anche la parcella del professionista, e comunque ancora in grado di fornire indirettamente un servizio allo Stato, mantenendo in piedi un apparato che resta un punto di riferimento per chi vuole sapere se e come avviare le pratiche.

E sono tanti, come ricorda Venneri. «Il profilo medio di chi si sta rivolgendo a noi in queste ore è più o meno sempre lo stesso: parliamo di titolari di piccole e medie imprese, che certamente non hanno grandi capitali da parte, e che vivono grazie a quello che riescono a ricavare di mese in mese. E oggi, per questo motivo, non ce la fanno». Ma c'è un aspetto ulteriore che rende la drammaticità del momento: «Molto spesso manifestano una preoccupazione non solo per la propria famiglia, il che sarebbe anche scontato, ma per la tenuta delle loro imprese, perché dicono di non riuscire a pagare gli stipendi dei loro dipendenti. Temono, insomma, di non riuscire a riaprire più, con o senza lockdown».

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