Dall’Egitto a Taranto, dalle rive del Nilo allo Jonio, si potrebbe aprire un’altra strada per l’idrogeno verde. È il progetto che lunedì prossimo l’Università privata Niccolò Cusano presenterà attraverso lo spin off “Hydrozero” alla Cop 27 in corso a Sharm el-Sheikh sui cambiamenti del clima. Obiettivo a regime: tagliare 4,5 milioni di tonnellate di CO2 l’anno e avere 167mila tonnellate di energia pulita. La struttura del progetto è questa: dal fotovoltaico che verrebbe installato in Egitto si ricaverebbe energia pulita (e rinnovabile) da trasportare poi, con la rete esistente, al porto di Alessandria d’Egitto.
Dall'Egitto a Taranto via Sicilia
Qui l’energia, con l’uso degli elettrolizzatori, sarebbe impiegata per produrre l’idrogeno verde. Quest’ultimo, insieme all’energia, in parte resterebbe in Egitto e in parte convogliato verso l’Italia. Verso il nostro Paese l’idrogeno prenderebbe due strade: immesso nel gasdotto Greenstream già esistente, che collega l’Egitto all’Italia (arriva a Gela, in Sicilia), e destinato ad un impianto di liquefazione. In questo secondo caso, si spiega, il prodotto sarà trasportato a Taranto, sede della più grande acciaieria d’Europa (Acciaierie d’Italia, ex Ilva), via tank container nella prima fase e successivamente attraverso quattro navi gasiere dotate ciascuna di tre sfere da 4.500 metri cubi.
Il nodo delle infrastrutture tarantine
Lo sviluppo dell’iniziativa potrebbe peró essere problematico a Taranto. E non perché non si voglia la decarbonizzazione dell’ex Ilva. Anzi, questa è una priorità e nei vari piani industriali prospettati negli ultimi tempi l’uso dell’idrogeno verde è previsto. Anche il decreto Aiuti, che delibera un miliardo di euro per la costruzione di un impianto di preridotto (semilavorato che nel ciclo siderurgico riduce l’uso di coke e minerali e quindi le emissioni inquinanti), stabilisce che la sua alimentazione deve avvenire con l’idrogeno verde. Scontata quindi l’utilità dell’idrogeno verde, anche se in siderurgia non si è ancora ad un livello di definizione industriale, il punto da chiarire riguarderebbe le modalità dell’arrivo a Taranto. E quindi la gestione dei tank container nella prima fase e delle navi gasiere in quella successiva. Provando anzitutto a verificare se, a parte gli spazi operativi (banchine ed aree), ci sono eventuali interferenze con le attività portuali e marittime. Secondo le stime dei ricercatori della spin-off Hydrozero di Unicusano, se si sfruttasse l’energia solare come fonte primaria “ipotizzando di produrre la stessa energia con centrali alimentate a metano, con un rendimento ipotizzato del 35%, si avrebbe un risparmio di CO2 di 10.500 tonnellate all’anno”. Inoltre, con l’avvio della fase 2 gli esperti della spin-off sostengono che, alimentando i fabbisogni di idrogeno della acciaieria di Taranto in un’ottica di riconversione da altoforno a forno elettrico per la produzione di 2.500.000 tonnellate all’anno di acciaio, prevedendo una cessione all’Egitto del 25% dell’idrogeno prodotto, nonché un sovradimensionamento degli impianti del 5% per far fronte alle perdite, “si otterrebbe un risparmio di CO2 di 4.500.000 tonnellate all’anno”.
Il risparmio di C02 stimato
I numeri del progetto indicano una produzione di energia fotovoltaica di 10,5 MWe nella prima fase e di 4,5 GWe in una possibile seconda fase. L’idrogeno gassoso che verrebbe ricavato ammonterebbe invece a 330 tonnellate l’anno nella prima fase e a 167mila nella seconda. Le 167mila tonnellate di idrogeno andrebbero per il 25% all’Egitto e per il 75% all’Europa. Oltre a Hydrozero di Unicusano, sono coinvolti anche IAT e S.R.S.. Lunedì, a Cop 27, interverranno per il team di ricerca Giuseppe Cherubini, direttore generale IAT, e Antonio Naviglio, presidente S.R.S.
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