Dalla mobilità passiva alla difficile sfida dei Lea: autonomia, la sanità teme per il gap

Dalla mobilità passiva alla difficile sfida dei Lea: autonomia, la sanità teme per il gap
di ​Vincenzo DAMIANI
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Giovedì 25 Gennaio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Gennaio, 07:52

Meno soldi, meno personale e un’assistenza sanitaria che non è garantita agli stessi livelli di qualità in tutta Italia: dopo il Covid il gap tra Nord e Sud non si è ridotto, anzi. Certo, la Puglia risulta essere “adempiente” sui Livelli essenziali di assistenza (Lea) ma si trova solo a metà classifica, ancora lontana da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e, soprattutto, è l’unica regione del Mezzogiorno ad essere promossa. La conseguenza diretta è che la mobilità passiva, i cosiddetti viaggi della speranza, è tuttora elevata: nel 2018 la Puglia ha speso 243 milioni di euro far curare i suoi cittadini fuori dai confini regionali, un anno dopo la cifra è scesa a 241 milioni, nel 2020, complice la pandemia Covid-19 l’esborso è stato “solo”, si fa per dire, di 172 milioni.

I viaggi della speranza

Terminato l’effetto lockdown sono tornati ad aumentare i “viaggi della speranza”: così nel 2021, nonostante ci fossero ancora alcune restrizioni nel settore sanitario, la spesa è tornata a crescere sino a 181 milioni.

In quattro anni la Puglia ha pagato per le cure dei suoi cittadini fuori dai confini regionali 837 milioni circa. Soldi che finiscono nelle casse delle Regioni del Nord. Infatti, mentre nel 2022 le Regioni del Nord hanno guadagnato dalla mobilità passiva 650 milioni complessivamente, il Sud ha dovuto sborsare 484 milioni, il Centro 241 milioni. A fare la parte del leone è l’Emilia Romagna (+307 milioni), segue la Lombardia, (+232 milioni) e Veneto (172 milioni); mentre la Campania brucia 230 milioni, la Puglia 126 milioni, la Sicilia 180 milioni, la Calabria “solo” 14 milioni.

I Lea e le conseguenze

Tornando ai Lea, i dati ufficiali del ministero della Salute evidenziano che solo 11 regioni risultano adempienti nel 2020: la maggior parte delle Regioni del nord Italia è riuscita a mantenere un'erogazione dei Livelli essenziali di assistenza non troppo difforme rispetto all'anno precedente, e questo nonostante la prima pesante ondata pandemica di Covid-19. Al contrario le Regioni del Sud, ad eccezione della Puglia, pur essendo state meno colpite dalla pandemia nel 2020, hanno registrato performance peggiori rispetto al 2019. Le “pagelle” Lea valutano distintamente tre aree di assistenza (territorio, ospedali e prevenzione) e attribuiscono loro un valore compreso in un range 0-100. La garanzia di erogazione dei Lea è centrata qualora, entro ciascun livello, sia raggiunto un punteggio pari o superiore a 60. Il punteggio di ogni area è determinato dalla media pesata di 22 indicatori, così suddivisi: 6 per l’area della prevenzione; 9 per l’attività; 6 per l’attività ospedaliera.

La posizione della Puglia

La Puglia, nel 2021, in tutti e tre i settori raggiunge almeno la sufficienza: infatti, ottiene 67,85 per la prevenzione; 61,66 per la medicina territoriale e 79,83 per l’area ospedaliera. Però è l’unica in tutto il Mezzogiorno ed è comunque distante dal nord: la Toscana, esempio, ottiene punteggi molto più alti (91,37, 95,02 e 88,07); cosi come l’Emilia Romagna (90,73; 95,96; 94,5); Lombardia (86,84; 93,09; 85,33). Depauperate delle risorse economiche, le Regioni del Sud oggi si ritrovano con meno personale, meno soldi da spendere e macchinari più obsoleti. E’ un dato di fatto, ad esempio, che tra la Puglia e il Piemonte ci siano circa 300mila abitanti di differenza, 3,9 milioni contro 4,2 milioni, ma nel riparto del fondo sanitario nazionale 2023, la prima incasserà 8 miliardi, la seconda 8,8 miliardi. Una differenza di 800 milioni, la bellezza di almeno due nuovi ospedali. L’Emilia Romagna, 4,4 milioni di residenti, incassa 9 miliardi invece: pur con dei correttivi che finalmente hanno reso più equa la distribuzione delle risorse destinate alla sanità, restano ancora degli squilibri che non permettono di riportare Sud e Nord sullo stesso livello, almeno in partenza. Rispetto al passato, qualcosa è certamente cambiato anche nel riparto del fondo sanitario nazionale ma non siamo ancora alla piena attuazione dei Lep.

I nuovi criteri, solo parzialmente, vanno a mitigare gli effetti nefasti dell’applicazione tout court della spesa storica. In sostanza, rispetto al passato adesso l’85% delle risorse è suddiviso attraverso la pesatura per età della popolazione, mentre il restante 15% è ripartito sulla base della popolazione residente riferita al primo gennaio dell’anno precedere. E’ stato inserito nel riparto anche un maggiore peso (1,5%) in funzione dei tassi di mortalità della popolazione "75 anni, in funzione delle condizioni socioeconomiche dei territori (povertà relativa individuale, livello di bassa scolarizzazione, tasso di disoccupazione). Insomma, i famosi indici di deprivazione. Il divario nella spesa sanitaria è evidenziato anche dalla Corte dei Conti: mentre nella Provincia di Bolzano la spesa per curare e assistere i cittadini è di 2.836 euro pro-capite; nella Provincia di Trento è di 2.710 euro; in Friuli 2.414; in Liguria 2.462; in Emilia Romagna è pari a 2.334 euro per abitante; in Calabria si ferma 2.041 euro; in Campania 2.115 euro; in Puglia 2.169 euro; in Basilicata 2.286 euro pro-capite. 

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