La crisi più pazza del mondo: 88 giorni tra strappi e selfie

La crisi più pazza del mondo: 88 giorni tra strappi e selfie
di Marco Ventura
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Venerdì 1 Giugno 2018, 08:17
La crisi più pazza del mondo dura 88 giorni sulle montagne russe della Vetrata al Quirinale, giù dal Colle nella sala del governo a Montecitorio e nella piazza mediatica della Rete, con le dirette facebook di Salvini a cui Di Maio mette i suoi like, per approdare negli studi Mediaset di Barbara D'Urso con corredo di selfie. Foto della crisi quella del premier incaricato (due volte) Giuseppe Conte, con pizza nel cartone dopo mezzanotte. Tutto per il Guinness dei primati: quegli 88 giorni con 5 giri di consultazioni, due mandati esplorativi (ai presidenti di Senato e Camera, a destra la Casellati, a sinistra Fico). E due pre-incarichi, a Cottarelli e Conte, con bozze di liste parallele di due governi possibili, mix di tecnici-politici in cui prevalgono ora i primi ora i secondi.
LE EMOZIONI
Nell'arco di due mesi si brucia in indiscrezioni una intera classe di alti burocrati quasi più spaventati di venir chiamati che di restare nell'ombra, e da far dire a qualcuno che per un'ora o un giorno si è creduto ministro di non aver mai visto prima un frullatore simile. E poi la spada di Damocle del voto col Rosatellum, e l'accelerazione impressa dal Presidente: o accordo su un governo politico, oppure esecutivo di tregua o presidenziale e subito il voto. Dal 29 luglio a non oltre dicembre.
Intanto l'altalena dello spread, le uscite del commissario UE Oettinger sui mercati che insegneranno agli italiani come votare. Il tira e molla con istantanee twitterate del tavolo di esperti 5S-Lega al lavoro sui punti del programma giallo-verde, negoziato alla tedesca con le bozze sbandierate dai giornalisti alla Tv e i paragrafi via via cancellati, come il no alla Tav.

L'INIZIO
Tutto ha inizio il 4 marzo col voto che disegna 3 poli, nessuno coi numeri per governare. Subito si parla di governo di scopo, o utile, e riforma elettorale prima di tornare alle urne. Ci prova il centrodestra a dialogare col Pd, ma Salvini si mette di traverso. Di Maio si getta nell'agone: Siamo aperti al confronto con tutte le forze politiche. È il 10 marzo, lui vuole fare il premier. Il 12, Renzi non esclude il governo istituzionale di tutti. Il 15 è chiaro che la situazione è oscura. Salvini ha il pallino nel centrodestra ma se non riesce lui a formare il governo, dice la Meloni, il centrodestra dovrebbe trovare strade diverse per farne un altro sempre di centrodestra. Si fa strada la tesi di Forza Italia: incarico a Salvini, caccia ai voti in Parlamento. Ma il capo dello Stato non ci sta, esige garanzie sui numeri. Che non ci sono. Il 19 marzo tramonta anche l'ipotesi di Gentiloni successore di sé stesso. È il 23 e si vanno a eleggere i presidenti delle Camere, primo segnale di possibili alleanze. Salvini indica l'azzurra Anna Maria Bernini senza l'accordo di Berlusconi, prima crepa dentro la coalizione. La blindatura giallo-verde col sì in extremis di Forza Italia promuove Casellati e Fico.

IL CAMBIO
Prove generali di maggioranza. Il 4 aprile, primo giro di valzer. Il centrodestra si presenta separato alla Vetrata. Il 12 secondo giro, stavolta il centrodestra s'inerpica sul Colle mano nella mano. Segno che presto si dividerà. E scattano così i veti incrociati. No da Di Maio a Berlusconi (e viceversa), No da Salvini a Renzi. È stallo. Il Presidente lancia la Casellati in esplorazione per capire se c'è margine per un governo giallo-verde-azzurro. Nulla da fare. È il 18 aprile. Cinque giorni dopo è Fico l'esploratore in direzione opposta: 5S-Pd? Disponibilità sulla carta a trattare i punti di programma. Maggiorenti dem aprono la porta. Renzi la chiude in tre giorni: Giusto che governi chi ha vinto. Il 7 maggio Mattarella dà il via al terzo giro. Sono passati 64 giorni e la novità è che il Presidente è al limite della pazienza: o fate il governo o vi rimando a settembre con un esecutivo di mia fiducia. Nel frullatore mediatico entrano i più bei nomi dell'amministrazione, dalla Belloni a Massolo. La svolta il 14 maggio col via libera di Berlusconi che fa un passo indietro o di lato: Salvini provi a fare il governo con Di Maio. Dal 7 al 21 maggio le teste d'uovo grilline e leghiste limano il programma, approvato poi dalla base sul web e nei gazebo. Mattarella attende. Il 23 il professor Conte viene convocato alla Vetrata e ne esce dicendo che sarà l'avvocato del popolo. Tra il 27 e 28 maggio, a squadra pronta, ecco il No del capo dello Stato a Savona all'Economia. E l'indisponibilità di Salvini a digerire il veto. Di Maio vuole l'impeachment. Mattarella allora convoca Cottarelli, che si presenta con trolley e zainetto. Ma la sera in cui dovrebbe chiudere la lista, colpo di scena: riparte la trattativa politica. Il resto è cronaca di ieri. Ultimo giro di ottovolante. Traguardo giallo-verde e tecnico-politico, in testa Conte avvocato difensore del popolo.
 
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