Salvini si converte alla Ue, ok al Recovery e migranti: il nuovo corso leghista

Salvini si converte alla Ue, ok al Recovery e migranti: il nuovo corso leghista
di Barbara Acquaviti
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Martedì 9 Febbraio 2021, 06:16 - Ultimo aggiornamento: 10:00

Si può «buttare il cuore oltre l'ostacolo» a Roma, persino dire con nonchalance - come non fossero mai esisti i casi Gregoretti e Open Arms - che il tema dell'immigrazione va affrontato attraverso «l'adozione della legislazione Ue». La folgorazione europeista di Matteo Salvini sulla via di Mario Draghi, però, scatena il panico nella Lega a Bruxelles. Perché oggi, poco dopo che il segretario avrà incontrato il premier incaricato per il secondo e decisivo round di consultazioni, la plenaria dell'Europarlamento voterà per l'approvazione definitiva del regolamento della Recovery and resilience facilit', quella parte, cioè, che da sola contiene 672,5 miliardi di euro di cui 312,5 miliardi di sussidi e 360 miliardi di prestiti. Si va verso un sì a suo modo storico, ma in contraddizione totale rispetto al recente passato.

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IL BIVIO
Come evitare di sembrare schizofrenici? Il travaglio è tale che, alla fine, si decide di non decidere o meglio di rinviare la decisione ufficiale a oggi, dopo che si sarà svolto l'incontro tra il premier incaricato e la delegazione del Carroccio.
L'ultima volta, a gennaio, la Lega si astenne, così come Fratelli d'Italia. Ma ora, mentre il partito di Giorgia Meloni non ha nessuna remora a confermare quello stesso voto, per Matteo Salvini è diventato un problema. Anzi, un doppio problema: il primo è evitare di fallire la prima vera prova di europeismo a cospetto dell'ex presidente della Bce mentre stringe sulla composizione del governo, il secondo è evitare che il gruppo vada in mille pezzi.
Il segretario, ora che ha deciso di giocare a pieno la partita dell'esecutivo, non vuole sbavature.

Un secondo dopo sarebbe sommerso da accuse di incoerenza e doppiogiochismo. Pd e Leu, certo, coglierebbero la palla al balzo. Per questo, ai suoi ha dato l'indicazione di votare a favore: astenersi significherebbe non aver fatto nemmeno mezzo passo in più e sarebbe una scelta difficilmente comprensibile per l'europeista Draghi. «Un conto fanno filtrare - era il silenzio del precedente governo, che non ha coinvolto nessuno nella stesura del Recovery, altro sarebbe un piano di investimenti, crescita e sviluppo condiviso col Paese, che permetta di superare le politiche di tagli e austerità che tanti danni hanno provocato». Forza Italia spera che la sterzata si ripeta. «Auspico che anche la Lega possa dare il suo via libera al regolamento perché è essenziale che nel 2021 arrivi la prima tranche del Recovery fund», dice il capogruppo azzurro, Mariastella Gelmini.

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Va detto che i 29 voti degli europarlamentari leghisti non sono neanche determinanti ai fini del via libera. Il dissidio, dunque, è tutto interno. Né l'escamotage di attendere l'esito dell'incontro basta a placare i malumori. C'è chi lo dice esplicitamente, come l'europarlamentare Vincenzo Sofo: «Ci troviamo di fronte a una operazione simile a quella di Monti, anche Draghi è un premier imposto dall'alto, con una delega in bianco, che neanche deve cercarsi una maggioranza, visto che quasi tutti si stanno offrendo senza esitazioni».
Il bubbone, insomma, è pronto a scoppiare e a mettere persino in discussione la collocazione della Lega in Europa. Ieri, infatti, in nome della svolta filo-Draghi si è consumata una prima frattura all'interno del gruppo «Identità e democrazia» in cui i salviniani siedono, per capirsi, con forze come il Rassemblement national di Marine Le Pen.
Il leghista Marco Zanni, presidente del gruppo ha attaccato il suo vice Jorg Meuthen dell'ultradestra tedesca Afd, proprio per difendere l'ex governatore della Bce. E se questa scossa fosse soltanto l'avvisaglia di un terremoto in arrivo? Giancarlo Giorgetti, il deus ex machina della svolta leghista, già da un anno predica un avvicinamento al Ppe.
Ma non si tratta di una strada facile. Non solo perché il percorso richiederebbe comunque dei mesi, ma anche perché i Popolari europei per ora non spalancano le porte. Elmar Brok, ex eurodeputato di lunghissimo corso, esponente della Cdu tedesca molto vicino a Angela Merkel, frena. L'appoggio a Draghi, dice, non basta: «Salvini deve cambiare le sue politiche. Finora tutto quello che ho letto di lui è sempre stato antieuropeo». A differenza di Giorgetti: «Potrebbe essere una buona cosa se si prendesse il partito», chiosa Brok.

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