«Minacce al dipendente che chiese gli arretrati»
2 anni e sei mesi al ristoratore

«Minacce al dipendente che chiese gli arretrati» 2 anni e sei mesi al ristoratore
di Erasmo MARINAZZO
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Giovedì 15 Marzo 2018, 08:07 - Ultimo aggiornamento: 12:07
Imprenditore della ristorazione condannato con l’accusa di aver minacciato un dipendente di tagliargli la testa e di giocarci a pallone, se si fosse presentato ancora una volta per chiedere gi arretrati. La sentenza è quella del processo con rito abbreviato del giudice per l’udienza preliminare, Simona Panzera, e riguarda il titolare del bar-ristorante “Vita” di viale XXV Luglio, a Lecce. A Sergio Valentini, 45 anni, di Mesagne (in provincia di Brindisi), sono stati inflitti due anni e mezzo di reclusione per estorsione continuata: con quelle minacce avrebbe costretto un marocchino oggi 42enne, in servizio come lavapiatti per un paio di mesi, da dicembre del 2014 a febbraio del 2015, a desistere dal reiterare la richiesta di avere il corrispettivo di dieci giornate non retribuite: 190 euro. Cioè dieci giornate di lavoro, con orario dalle 10 alle 16. Dieci euro al giorno e, dunque, 1 euro e 66 centesimi all’ora, ha precisato nell’esposto che ha dato il via all’inchiesta l’avvocato Carlo Viva nelle vesti di legale del lavoratore straniero, che ha curato la costituzione di parte civile nel processo.
Ha invocato una pena più alta, il pubblico ministero della Procura di Lecce, Roberta Licci, nelle vesti di titolare dell’inchiesta condotta dai carabinieri della stazione di Santa Rosa. L’assoluzione è stata chiesta dall’avvocato difensore del ristoratore, Fulvio Pedone: ha sostenuto che non vi fosse prova di tutte le accuse e le circostanze sostenute dall’accusa. Perché prive di riscontri: gli unici due testimoni sentiti dai carabinieri hanno detto di non saperne nulla delle minacce che il titolare del “Vita” avrebbe rivolto all’uomo impiegato come lavapiatti fra la fine del 2014 ed i primi mesi del 2015. E neanche di quali fosse stata la remunerazione concordata.
Insomma, secondo la difesa non si sarebbe formata la prova dell’estorsione e di tutto ciò che l’ex dipendente del “Vita” ha rappresentato nella denuncia come fatti realmente accaduti. Tre mesi il termine indicato dal giudice Panzera per depositare le motivazioni della sentenza e sarà impugnata in Appello.
 
Intanto a guardare le conclusioni del processo di primo grado, i fatti accertati dall’inchiesta sono stati ritenuti credibili. La premessa è che lo straniero - residente in Italia dal 2007 - nei primi giorni di dicembre del 2007 si propose a diversi bar e ristoranti del centro storico di Lecce perché aveva alle spalle altri impieghi come lavapiatti e cameriere. Aveva bisogno di lavorare, era arrivato al punto di doversi rivolgere alle strutture di assistenza per mangiare e per dormire.
Il porta a porta funzionò. Al “Vita”, avrebbe parlato direttamente con l’amministratore, per essere poi dirottato allo chef. Finì in cucina a lavare piatti e qualche giorno dopo sarebbe stato messo al corrente della cifra che gli sarebbe spettata: 10 euro al giorno. Per sei giorni alla settimana. Per cominciare. Con la promessa - dicono questo le carte dell’inchiesta - di essere poi assunto.
Il passare del tempo avrebbe invece peggiorato il rapporto di lavoro: nessuna prospettiva di assunzione e i pagamenti di 60 a settimana non sarebbero stati regolari. Fino ad arrivare alla rottura. Allo scontro: il 12 febbraio sarebbero volate quelle parole grosse costate all’imprenditore la condanna in primo grado.
La sentenza non è definitiva e per questo Valentini deve essere considerato innocente fino all’ultimo grado di giudizio.
 
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