«Ho cancellato il mio rientro al Sud: temo gli attacchi dei miei conterranei»

«Ho cancellato il mio rientro al Sud: temo gli attacchi dei miei conterranei»
di Katia PERRONE
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Venerdì 28 Febbraio 2020, 09:13 - Ultimo aggiornamento: 29 Febbraio, 09:03
Il Coronavirus è diventato un'emergenza che attraversa l'intero stivale. Da nord a sud. E da nord a sud colpisce, indistintamente, lombardi e pugliesi. Ma tra controlli, contagi, pazienti asintomatici e psicosi la malattia e le sue conseguenze sono solo un pezzo della storia. La storia di un'Italia che cerca a tutti i costi di superare come può l'epidemia, con enormi sforzi e continue rassicurazioni del Servizio sanitario nazionale. In questo pezzo di storia d'Italia è finita anche lei, Francesca Perrone, una salentina originaria di Trepuzzi, che lavora e vive a Milano insieme al marito e ad uno dei suoi due figli.
Un'esigenza, la sua, che tre anni fa l'ha costretta a lasciare la sua terra e parte della sua famiglia, ma soprattutto l'anziana madre. È per lei che spesso Francesca rientra nel suo paese. Acquista per tempo il biglietto aereo e poi conta i giorni che la dividono dalla partenza. Tranne questa volta. La storia di un'Italia che affronta il Coronavirus si scontra purtroppo con la sua storia, con la psicosi e con i pregiudizi che viaggiano sui gruppi social dove confluiscono i post dei profili Facebook dei suoi compaesani.
 «Avevo già comprato il biglietto racconta Francesca ed ero pronta a partire agli inizi di marzo per riabbracciare mia madre, ospite di una struttura per anziani. Ma ho scelto di non partire più. Preferisco perdere i soldi del biglietto piuttosto che ritornare in paese ed essere guardata con sospetto. Quello che leggo mi lascia sgomenta. Sembra una stupida caccia alle streghe».

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Cosa le ha fatto cambiare idea?
«I post dei miei conterranei. Non tutti eh, e molti non sono nemmeno di Trepuzzi. C'è chi invita noi che viviamo al nord a restare dove siamo, oppure scrive che, anche se asintomatici, dovremmo sottoporci tutti a controlli prima di lasciare la Lombardia. Neanche fossimo degli appestati. Nei giorni scorsi ho risposto per le rime, ma leggere certe cattiverie, proprio dai miei compaesani, mi fa male e mi fa vergognare di essere una salentina».
Che cosa prova?
«Provo tanta amarezza e sono molto dispiaciuta. Non avrei mai immaginato che proprio i salentini, da sempre pronti ad accogliere, sarebbero invece ora disposti ad allontanare i loro conterranei per colpa di una malattia che non è altro che un'influenza, forse più virulenta, ma che può essere combattuta prendendo le dovute precauzioni, proprio come stiamo facendo qui. Quella che si è scatenata in Puglia, e nel Salento, invece è una psicosi ingiustificata. Leggo dei post sui social che mi fanno pensare che giù tutti siano andati in tilt».
Ritiene quindi che la reazione dei salentini sia esagerata?
«Assolutamente. Capisco che un virus che non si conosceva prima possa spaventare, ma non ci si può annullare. La vita deve andare avanti e non ci si può fasciare la testa prima di cadere. Bisogna solo rispettare le indicazioni che ci vengono fornite, prendere tutte le precauzioni possibili e accettare di convivere con cinesi, asiatici, con chi vive e lavora al nord e vuole sentirsi libero di ritornare a casa dai suoi cari, proprio perché non è in pericolo, e non lo è neanche per gli altri».
Lei e la sua famiglia come vivete l'emergenza di questi giorni a Milano?
«Viviamo serenamente, andiamo a lavorare, se possiamo evitare l'uso dei mezzi pubblici lo facciamo, raggiungendo a piedi negozi e supermercati. Seguiamo le raccomandazioni che sono arrivate dalle istituzioni, e a volte con i nostri amici milanesi ci scherziamo anche su. Qui a Milano ci siamo trasferiti per necessità, lasciando a malincuore il nostro paese, proprio perché la nostra terra non ci offriva più un futuro. A differenza di quello che si dice, qui ci hanno accolto benissimo e mi fa male pensare che in questo periodo, proprio a casa mia, potrei non ricevere lo stesso tipo di accoglienza».
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