Emergenza senzatetto: in 100 dormiranno per strada al gelo

Emergenza senzatetto: in 100 dormiranno per strada al gelo
di Angela NATALE
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Venerdì 6 Gennaio 2017, 06:55 - Ultimo aggiornamento: 15:06
Per un motivo o per un altro rischiano la vita tutti i giorni. Vita da strada. Per strada. D’estate e in inverno. Sotto al sole cocente e sotto la pioggia battente o, come potrebbe capitare nei prossimi giorni, con l’arrivo del grande freddo, sotto la neve. Novanta se ne contano a Lecce di clochard. Avete letto bene. E il numero della vergogna si riferisce solo ed esclusivamente ai senza fissa dimora che vivono e dormono all’addiaccio assistiti solo ed esclusivamente dalle associazione di volontariato, Protezione civile all’occorrenza, Croce Rossa e Caritas. Ma poi ci sono i “fortunati” ospitati a turno nel centro notturno di accoglienza, ex masseria Ghermi, di proprietà del Comune – 25 posti letto in tutto -; e c’è un altro centinaio di senza tetto, italiani e stranieri, che trovano rifugio nelle quattro strutture che la Caritas ha realizzato in questi anni per far fronte a un problema che nella città barocca è sempre più emergenziale: Casa della Carità, Casa Emmaus, San Vincenzo de’ Paoli e San Massimiliano Kolbe, dove nell’ex canonica adeguatamente ristrutturata sono stati predisposti dieci posti letto per i clochard che hanno gravi problemi di salute. Ma non basta.
«È pieno ovunque» dice a denti stretti don Attilio Mesagne, direttore della Caritas diocesana. «Tant’è che stiamo mandando provvisoriamente due coppie nigeriane in un B&B». Rifacciamo i conti: un centinaio sono sparsi nelle strutture parrocchiali, altri cento figli di nessuno vivo al gelo sotto le stelle, 25 sono in custodia della Croce rossa a cui il Comune, incapace di predisporre il bando di gara, ha lasciato la patata bollente della gestione di masseria Ghermi per un altro anno dopO che per mesi se n’era occupata la Comunità Emmanuel di padre Mario Marafioti.
Da Palazzo Carafa viene lanciato l’allarme meteo e si spera nel miracolo: «La nostra macchina dell’assistenza e della solidarietà – scrive in una nota l’assessore all’Ambiente e alla Protezione civile Andrea Guido - è accesa, collaudata ed efficiente. Ma potrebbe non bastare. Invito quindi tutti i leccesi a dare una mano a chi in questi giorni di gelo non ha un tetto, un piatto caldo o un posto dove potersi riparare. Guardiamoci intorno durante il prossimo weekend, togliamoci i paraocchi. Si tratta di nostri fratelli e concittadini, non meritano la nostra indifferenza».
Tra i primi a togliersi i paraocchi, meglio ad aprire gli occhi e a guardare in faccia la realtà – dovrebbe essere proprio l’amministrazione comunale, poco presente nelle politiche che riguardano i poveri (come dimostrano i dati dei due empori della solidarietà che fanno entrambi capo alla Chiesa) e i senzatetto. «Non possono pensare che Croce rossa e Caritas, oltre alle associazioni di volontariato quotidianamente in campo possano risolvergli il problema dell’emergenza sociale», dice a denti stretti un operatore privato impegnato sul campo del pronto intervento. «Noi possiamo dare un servizio a costo zero, ma se non c’è un programma istituzionale il problema esonda».
 
La situazione già difficile di per sé, in questo periodo si è fatta drammatica. E non solo per via del gelo che da ieri si è abbattuto anche su Lecce. La stazione, principale ricovero dei senzatetto che vivono in strada, intorno a mezzanotte, dopo l’arrivo dell’ultimo treno, chiude le porte e le persone vengono sollecitate dalla polizia ferroviaria, su precisa disposizione del personale Trenitalia, ad andare via; mentre ai bagni pubblici il lucchetto viene messo ancora prima, intorno alle 22. In questo periodo di feste la tolleranza è stata pari allo zero per non trasmettere ai turisti un’immagine negativa della città. E infatti i clochard che avevano assunto a proprio domicilio la stazione hanno dovuto traslocare. C’è un gruppetto di pakistani che si è sistemato nell’area parcheggio mentre i rom indipendenti, quelli cioè estranei al campo Panareo, che avevano messo le tende in fondo al binario numero uno sono stati cacciati. Tra una settimana, chiuso il periodo festaiolo per i cittadini di serie A, ritorneranno in massa, è certo.
Al momento i figli di nessuno domiciliati in stazione si sono ritagliati uno spazio nei posti più disparati: nei box abbandonati di Settelacquare, dove dormono almeno 10 persone; un ragazzo siciliano si è invece spostato sotto ai portici delle Marcelline; un altro è riuscito a occupare una casa abbandonata; due leccesi, entrambi vittime di separazione matrimoniale e disoccupazione, dormono in auto: uno in una Fiat Seicento dalle parti della Misericordia soccorso, l’altro in una Fiat Punto. E poi c’è il noto Ugo Mennoni che vive in roulotte. Come Italo e Sonia, gli altrettanto temerari senzatetto, sposi nel 2004, che dopo aver messo tenda sotto le antiche volte di Palazzo Carafa, da qualche settimana vivono nel quartiere Leuca in un camper donato loro da un’associazione.
Quando si dice la solidarietà. Solidarietà dal basso «La situazione è estremamente critica - rivela Andrea Colella, da due anni responsabile operativo dell’associazione onlus nazionale di volontariato City Angels. Due anni in cui ne ha viste di cotte e di crude, ma il cui impegno quotidiano e lo stare a stretto contatto con quanti in città vivono nelle zone più disparate in condizioni estreme, ha portato a salvare almeno 14 vite umane. «Il problema è che la Croce rossa viene allertata quando uno sta male – spiega -, ma sono molti che sono da soli e che trovano rifugio in posti isolati. Noi sappiamo dove sono e nel nostri giri, che effettuiamo tre volte alla settimana, li monitoriamo continuamente oltre che rifocillarli, vestirli, dar loro le sciarpe e le coperte per ripararsi dal freddo». Nonostante ciò negli ultimi tre anni Lecce ha dovuto contare ben sei morti, segno dell’assenza istituzionale, con il Comune che non è in grado neppure di fornire il minimo necessario alla loro disperata sopravvivenza.
Con questo freddo coperte di lana non sono sufficienti a proteggerli in quanto è facile andare in ipotemia. «Ci vorrebbero coperte termiche – dice Colella -, meglio ancora un posto al chiuso». Nota dolente, quest’ultima. Che fine ha fatto il progetto di trasformare il palazzo Principe Umberto in dormitorio annunciato due anni fa in conferenza stampa dall’assessore Attilio Monosi e rilanciato in seguito dalla sua collega ai Servizi sociali Nunzia Brandi?
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