Colleghe in masseria, una russa e l'altra ucraina: dal Salento un messaggio di pace

Colleghe in masseria, una russa e l'altra ucraina: dal Salento un messaggio di pace
Colleghe in masseria, una russa e l'altra ucraina: dal Salento un messaggio di pace
di Pierpaolo SPADA
4 Minuti di Lettura
Mercoledì 20 Settembre 2023, 06:57 - Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 12:08

Lavorano insieme da appena una settimana nella Masseria Baroni di Montesardo a Lido Marini, nel Basso Salento, ma sono già diventate buone amiche. E ora che la stagione turistica volge al termine e sanno di dover tornare nelle proprie città sperano soltanto di rivedersi. Ieva è ucraina, Dasha russa. Hanno entrambe vent'anni. E mentre si raccontano, guardandosi negli occhi e passandosi la parola, sorridono, senza tuttavia riuscire o, forse, nemmeno volere contenere quegli accenti di malinconia che pure svelano. Non sono due ragazze che la guerra ha catapultato d'improvviso da queste parti.

In Italia, ci sono già venute l'anno scorso.

Anzi, Ieva ci vive da dieci anni: la sua casa è a Firenze, dove studia Scienze Politiche. E già da qualche tempo fa parte del team di "Francorosso", tour operator. Dasha, invece, è tornata nel Salento per la seconda volta grazie al progetto che la vede impegnata con la sua scuola di lingue e al contributo di una società che promuove lo scambio e offre l'opportunità di fare esperienza anche in strutture ricettive come quella - settecentesca, con ristorante e lounge beach - amministrata da Gino Cozza. Che confida: «È bravissima al bar, come Ieva nell'animazione».

La storia

Vite definite ma in un certo senso sospese. Ogni affermazione di solidità è seguita da una di indecisione. Con perfetta pronuncia italiana, la giovane ucraina è determinata quando afferma «ora rientrerò in Toscana per riprendere gli studi e lavorare». Poi, d'impeto, però, esita e riflette: «In realtà, terminata la triennale, vorrei tornare in Ucraina per finire gli studi ma non so se al momento sia conveniente. Ci sono stata l'inverno scorso e ho avuto un po' di paura. Le prospettive non mancherebbero se non ci fosse la guerra. Siamo un Paese ancora povero ma in crescita». Ieva è originaria di Mykolaïv, la città del grano. E lì che abita la sua famiglia: «E per ora non ha subito danni, in città si sta "bene"», spiega. Lo zio sta combattendo da "volontario", così come avrebbe voluto fare anche il padre se non fosse stato bloccato a causa di una crisi d'asma. Dal canto suo, Dasha appare più timida, cauta, forse anche più insicura. Proviene da Rostov sul Don, la città più grande della Russia meridionale, posta a 100 chilometri dal confine con l'Ucraina e ritenuta come tale strategica per le operazioni militari di Mosca. In Salento è approdata 4 mesi fa, parla anche lei bene italiano e non ha alcuna intenzione di tornare nel suo Paese: «Io voglio restare qui a lavorare, in questa Masseria.

E, possibilmente, in Italia vorrei anche studiare per l'università». E l'albergatore salentino che la sta ospitando non lo nasconde: «Stiamo cercando il modo di prolungarle la permanenza». Questione di volontà ma anche di burocrazia. Niente dubbi sulla guerra: «Ho perso un conoscente. Aveva 19 anni: è morto. La guerra non è mai giusta, deve finire perché è una cosa bruttissima e non solo per l'Ucraina ma anche per la Russia, anche se è il popolo ucraino che sta vivendo la situazione peggiore», dice Dasha. E Ieva condivide: «Appena è scoppiata io sono rimasta scioccata perché non me l'aspettavo, anche se di conflitti ce n'erano già stati nel 2014. È chi sta in alto che decide la guerra, ma poi a combattere ci vanno i poveretti. Basta. Hanno entrambi torto, sia Putin che Zelensky. Non so cosa farei al loro posto: certamente, non manderei il mio popolo a morire. Siamo tutti fratelli».
Ed è ciò che in fondo anche questa storia di condivisione e convivenza dimostra, non l'unica, non l'ultima: «Andiamo oltre le apparenze, i confini geografici e le ideologie, non alimentiamo pregiudizio. Gli ucraini e gli altri popoli non incolpino tutti i russi, perché - suggerisce Dasha - non è stata una mia scelta fare la guerra». «Il sangue - sostiene Ieva - è rosso per tutti».

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