La fuga verso la libertà trasformata in genocidio

di Stefano Cristante
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Venerdì 4 Settembre 2015, 20:31 - Ultimo aggiornamento: 5 Settembre, 10:20
Non è vero che gli uomini e le donne nascono liberi. Solo alcuni sono liberi, quelli nati nei cosiddetti paesi occidentali. La prima e più elementare libertà di un essere umano, quella di spostarsi, è negata per legge a milioni di persone non-occidentali. Eppure molti di quei milioni rinuncerebbero volentieri alla libertà di movimento, e non si sognerebbero neppure di venire a bussare alle nostre porte, se solo nel loro territorio fosse possibile godere di una libertà ancora più elementare: sopravvivere.



Non parlo unicamente di pessime condizioni alimentari e di povertà: parlo di guerra, di case che saltano per aria, di condotti dell’acqua deliberatamente sabotati, di cecchini appostati sul tetto di fronte per far saltare il cervello a te e ai tuoi figli e di mille altre violenze che i più anziani tra noi ancora ricordano pensando alla seconda guerra mondiale, paradigma di tutte le guerre moderne, le cui vittime più copiose e il cui bersaglio privilegiato non sono i soldati ma la povera gente “normale”. In aggiunta, molti di coloro che scappano dalla propria terra lo fanno anche per sfuggire alla bramosia di sangue e morte dei fanatici che si fingono religiosi, pronti a dare esempi risolutivi uccidendo con feroci pratiche medievali chi dimostra anche minimi segni di dissenso dalla loro opera distruggitrice.



Per tutti questi motivi molte e molte migliaia di persone vendono tutto ciò che hanno, implorano gli anziani di dare ciò che possono per i figli e i nipoti e si mettono in marcia. Attraversano luoghi desolati a marce forzate, sono spesso maltrattati da chi dice di poterli portare altrove in cambio di tutti i loro soldi e tiranneggiati dalla soldataglia del califfato che ha già terrorizzato le loro città. Devono stringersi come sardine nelle jeep e poi, uno sull’altro, sui gommoni e i barconi. Tra loro c’è di tutto: analfabeti che parlano un solo dialetto e laureati poliglotti, padri e madri di famiglia tirati come corde di violino per non perdere di vista i figli e giovanissimi single animati da un desiderio di riscatto, gente che ha convissuto col piccolo crimine e cittadini integerrimi. Se il pittore Pellizza da Volpedo dovesse rappresentare oggi l’umanità sfruttata, dipingerebbe un Quarto Stato con i volti di questi nostri contemporanei.



Ecco che cosa si intende per “fenomeno epocale”. Ecco perché gli animi si accendono su questa questione. Perché non è “una” questione, ma “la” questione. I nodi sono venuti al pettine: la prima modernità ha inventato il colonialismo e lo sfruttamento sistematico delle risorse dei paesi colonizzati, le guerre mondiali tra occidentali hanno avuto tra le loro conseguenze una messa in discussione degli equilibri coloniali ma non la subalternità economica del Sud del mondo all’Occidente. La globalizzazione capitalistica ha cambiato la stabilità del rapporto capitale-lavoro in tutto il mondo, spostando continuamente produzioni e investimenti laddove costano meno. Ma gli uomini e le donne del Sud del mondo dovrebbe stare fermi, immobili sotto i bombardamenti, la fame e le vessazioni, in attesa di morire o di veder arrivare, un giorno o l’altro, un’Organizzazione non governativa con mezzi per il soccorso.



Essendo questo fenomeno ormai unanimemente definito “epocale” è chiaro che intorno ad esso si stiano costruendo delle vere e proprie ideologie. C’è chi dice: comodo scappare e venire qui a incassare 35 euro al giorno quando c’è tanta gente in Italia che non ha un lavoro. Se chi parla e pensa così avesse il tempo di controllare sulle fonti appropriate, scoprirebbe che aggettivi come “comodo” o “facile” applicati all’esodo dei migranti sono bestemmie. La foto del bambino siriano di tre anni Aylan Kurdi riverso sulla spiaggia turca di Bodrum mette la parola fine a queste idiozie. Il bambino è stato strappato dalle onde all’ennesima navigazione disperata, ed è annegato insieme al fratellino e alla madre. Abbiamo tutti sofferto come cani vedendo quella foto, padri o madri o nonni o nipoti. L’umanità, in quella foto, ha incontrato un proprio punto di rottura. L’esodo è un dramma che ora abbiamo tutti nell’anima.



In più, nessun profugo incassa 35 euro. Vivono per lunghi periodi in uno stato di sospensione esistenziale, dentro centri di identificazione che non sono certo hotel di lusso. Da poco a qualche geniale amministratore locale è anche venuto in mente di proporre ai profughi di spazzare le nostre strade, gratis, così “si integrano”. Anche questa trovata, nella sua miseria, rivela una natura ideologica: la deriva di un pensiero progressista che un tempo parlava di solidarietà internazionale tra sfruttati è ora rappresentata da individui spaventati dall’incedere del leghismo e quindi pronti a dimostrare all’opinione moderata che i migranti – o almeno una parte di essi – è “buona”. Ma l’ultimo pensiero di questa filiera riguarda il fatto che ci sono anche molti italiani che stanno male per via della crisi, e che prima di aiutare “loro” dobbiamo pensare a “noi”.



Lasciamo perdere il fatto che lo status di profugo è un riconoscimento internazionale regolato da trattati, a loro volta scaturiti dal fatto che il pensiero umano ha riconosciuto la delicatezza e la fragilità di questa condizione. Concentriamoci sulla sostanza brutale del problema. Se io non ho, non posso dare a te. L’Italia è un paese impoverito dalla crisi, con una classe media che ha perso molti colpi, un immenso precariato giovanile e un numero crescente di indigenti. Tuttavia non c’è alcuna possibilità di paragonare questa situazione a quella dei migranti in genere e dei profughi in particolare. L’80% delle famiglie ha una casa di proprietà, e il più povero tra noi può comunque contare su quelle che i sociologi chiamano “reti sociali”, un mix di aiuti familiari, di organizzazioni territoriali, di enti caritatevoli. Stiamo bene? Tutt’altro. Ma dipingere la nostra situazione come quella di gente senza speranza mentre “gli invasori” occupano i nostri hotel di lusso e si titillano con la scheda telefonica pagata da noi è una scelta ideologica deliberata, con scopi evidenti.



I totalitarismi europei del ‘900 non erano solo regimi che soffocavano la libertà: erano anche terribilmente bugiardi, e usavano sistematicamente la menzogna in ogni contesto. Arrivavano a dire agli ebrei che i treni bestiame che li portavano ad Auschwitz erano diretti in luoghi tranquilli, dove non sarebbe stato loro fatto alcun male. Qualche giorno dopo i sopravvissuti al viaggio avevano un tatuaggio con un numero. Era solo per identificarli. Era solo un problema organizzativo. Era solo il peggior genocidio della storia dell’umanità.