I segreti dei carcerati nelle aule del “Capece”

I segreti dei carcerati nelle aule del “Capece”
di Maurizio TARANTINO
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Domenica 10 Aprile 2016, 07:12 - Ultimo aggiornamento: 11:49

Vascelli, mani, animali domestici, autoritratti, croci, figure demoniache. E poi ancora sentenze, scritte, nomi incisi nella dura pietra a partire dal 1600. È un segreto ben custodito, quello nascosto sui muri dell’ex carcere del castello di Maglie, diventato nel corso dei secoli il palazzo Baronale “Capece” e quindi sede del liceo omonimo.

Un tesoro poco conosciuto, e di difficile accesso: per raggiungere la sala, al momento, occorre aspettare il termine delle lezioni per non disturbare gli studenti assiepati nel locale che ne permette l’accesso. Ai lati, i pannelli appoggiati ai muri in attesa di chissà quale soluzione definitiva. Problemi di cui la dirigenza del Liceo “Capece” è a conoscenza, impegnata da tempo a cercare una soluzione. «Da tempo - spiega la preside, Gabirella Margiotta - abbiamo studiato un progetto, in collaborazione con la Fondazione Capece, proprietaria dell’immobile, per dare risalto ai graffiti, permettendone la visita e lo studio. Ma occorrono finanziamenti per la ristrutturazione del locale, la sistemazione dell’illuminazione e del percorso culturale».

Un tesoro che parla di un mondo antico, lontanissimo, raccontato attraverso i graffiti scoperti nel 2000 durante alcuni lavori di ristrutturazione. La caduta dell’intonaco svelò l’esistenza di un passato lontano almeno 4 secoli, con incisioni databili tra il 1601 e il 1669. Il merito di aver studiato le iscrizioni e di averne inquadrato la storia attraverso un paziente lavoro di rilevazione grafica e fotografica e successiva rielaborazione visiva è del professor Carmelo Caroppo, che già nel 2003 diede alle stampe un volume monografico dal titolo “Tracce” con la presentazione del professor Lucio Galante, dell’allora Università di Lecce.

«Dentro quel luogo - sottolineava Galante - è come se si respirasse il clima e l’atmosfera di una condizione esistenziale. Gli uomini che vi sono passati, infatti, erano uomini in carne e ossa, che contavano i giorni, che pregavano e forse imprecavano, che avvertivano lo scorrere lento e inesorabile del tempo, che riflettevano sulla loro vita e sulle difficoltà quotidiane, sulle ragioni dei propri errori e chissà anche sulle ingiustizie subite».

«È un peccato - commenta Caroppo - che non si pensi a un recupero di quella saletta. Adeguatamente valorizzata, potrebbe essere di forte richiamo turistico e di interesse culturale». Già da subito si gridò al miracolo, con promesse di recuperi, interventi mirati e fruzioni al pubblico: furono realizzati dei pannelli informativi e un vero e proprio percorso artistico culminato con una mostra aperta nell’agosto del 2012, per merito della Fondazione “Capece”, caratterizzata da immagini, elaborati plastici, video-installazioni e un itinerario all’interno delle sale e del carcere dell’antico castello poi diventato Palazzo “Capece”, messa a punto da Caroppo e dai suoi allievi. Poi più nulla.
Intanto la storia di Dominico e Thomaso Camataro, di Francesco Montagna, di Lupo Maria resta ancora segreta, relegata sui muri di una prigione che non chiederebbe altro di aprire le proprie porte a tutti.
 

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