“Lascia stare la gallina”, metafora di un Paese in crisi

“Lascia stare la gallina”, metafora di un Paese in crisi
di Teo PEPE
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Lunedì 22 Giugno 2015, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 11:14
La prima curiosità riguarda lui, l’autore. Dice di chiamarsi Daniele Rielli, ma poi chissà se è vero. Gioca a fare la Elena Ferrante (il mistero-business della grande editoria italiana) e si fa fotografare solo di spalle, anche se da qualche settimana gira tranquillamente l’Italia per presentare il suo primo libro e si lascia perfino intervistare.



Straordinariamente invisibile in un mondo pieno di cellulari in cui tutti fotografano tutti, il suo “Lascia stare la gallina”, 638 pagine di librone Bompiani, ancor prima di diventare un caso letterario formalmente benedetto dai recensori “giusti”, lo è già a furor di web, dimensione in cui l’autore è da un pezzo famoso come blogger, amato e rispettato da fan di ogni età. Nome di battaglia: Quit the doner.

Ma perché rispettato? Perché il ragazzo (dice di avere 32 anni, ma ne dimostra 50 per tecnica e sapienza di scrittura) non è uno dei soliti teppisti da social, capaci solo di vomitare maleparole separate da qualunque pensiero, né un grillo parlante a colpi di frasi fatte ma un vero professionista della parola scritta.



Informatissimo sui temi che affronta, documentato fino al dettaglio, colto e capace di sofisticate letture politiche in un linguaggio accessibile e divertente, ha il coraggio di andare controcorrente, spesso all’attacco di ciò che è trendy, scelta considerata in Italia un peccato mortale.



Diavolo di un Quit. Ma davvero ha solo 32 anni?

Il suo libro non è voluminoso solo nell’aspetto, ma lo è anche nella sostanza, costruito su una sceneggiatura da film corale che lui, lo scrittore-regista Rielli, domina dall’alto tirando i fili di tutti i suoi personaggi, facendoli interagire e raccontando l’affresco terribilmente normale di una ruggente estate italiana, anzi di una ruggente estate salentina (siamo nel 2011, l’ultimo anno della “spensierata” era berlusconiana).



Un film a più corsie, il suo, che sarebbe piaciuto a Robert Altman, ma con protagonisti e comparse che sembrano inventati da Quentin Tarantino.

Violenza tanta, energia moltissima. Sesso, droga, e dance hall.



La trama si apre con un omicidio, ma la storia è tutto meno che un giallo. Al centro ci sono due cinquantenni, l’ex poliziotto Totò Petrachi, riciclatosi imprenditore (uno che diversifica gli investimenti: dalla ristorazione alla prostitute e alla droga) ed il suo socio Adamo, “volto” affabile, data anche la stazza da orso buono, del ristorante otrantino, ma capace in caso di necessità di uccidere un uomo a mani nude.

Intorno a loro tanti personaggi perfetti e realistici: la giovanissima amante dell’orso, la mamma con l’Alzheimer dello spietato Petrachi, il muratore Rocco che si esalta con le compilation per le dance hall, si stordisce di canne e all’alba si spezza la schiena trasportando mattoni, orgoglioso comunque di frequentare la notte i figli di papà che invece possono dormire fino a mezzogiorno.



Il tutto su uno scenario abitato da torme di ragazzi che l’estate calano nel Salento da Bologna, Milano, Torino con l’aria di chi è arrivato nella terra promessa, mentre l’ambiente cittadino (Lecce) è animato da figurine disegnate con sapienza e veleno: il giornalista locale idealista e fallito, onorevoli e poliziotti corrotti, malviventi albanesi col kalashnikov, gentildonne trasgressive, ragazze problematiche, avvocati trafficoni.



Nessuno si salva in “Lascia stare la gallina”, e tutto sta in piedi grazie al compromesso morale che ridipinge la facciata di famiglie, aziende, salotti, studi professionali. Una società corrotta e senza speranza, dove il Salento è solo la metafora di una realtà ben più grande e di un’Italia sguaiata e cialtrona, inconsapevole della propria decadenza e dell’imminente rovina.



L’ambientazione leccese-idruntina tuttavia sorprende, visto che Rielli dovrebbe essere di Bolzano, pur se figlio di salentini e abituato alle vacanze nel “tacco”.



Dire ambientazione è dire poco: gli eroi della storia battono la costa adriatica (a Otranto e Frassanito le scene madri) descrivendo strade e distanze con una precisione da tomtom, la stessa precisione con cui Rielli racconta gli stati d’animo dei suoi eroi e utilizza, a piene mani, il dialetto.



Il Salento di Quit-Daniele è bello e crudele (“fore de capu”, direbbe Rocco): non brilla come in una fotogallery di Trip Advisor, ma sprigiona comunque una sensualità animale come la sua natura, il mare, lo spazio greve di lusso e di cafonaggine, in una sintesi che unisce tutto e il contrario di tutto, i buoni e i cattivi.



E anche qui, come dice Woody Allen, la differenza è che mentre i buoni riposano meglio la notte, i cattivi, di giorno e di notte, se la spassano di più.

Ma non per sempre.
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