Daniele Rielli, "Il fuoco invisibile" e la storia delle falsità su xylella

L’ultimo libro dello scrittore affronta l’emergenza del batterio degli ulivi, sin dalla sua genesi. Una narrazione a più livelli e con più voci di una «storia umana di un disastro naturale». Tra fake news, scienza inascoltata, errori

Daniele Rielli, "Il fuoco invisibile" e la storia delle falsità su xylella
di Francesco G. GIOFFREDI
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Giovedì 30 Marzo 2023, 12:32 - Ultimo aggiornamento: 12:36

Nel tempo inesatto delle parole vuote, ce n’è una che conserva una forza evocativa prepotente, rotonda, a tratti disarmante, e però ormai sempre più spesso distorta, oscura: la parola è “storia”. Quella della xylella fastidiosa – sapete bene di cosa parliamo: il flagello degli ulivi prima solo nel Salento e poi in tutta la Puglia – è una storia che in fondo raccoglie più storie, è narrazione che abbraccia in sé livelli di racconto stratificati, da sfogliare un velo alla volta. Ma con un filo comune, da cima a fondo: come nella “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, e lì siamo nella terribile peste del 1630, anche per xylella ci sono dei presunti untori ritenuti responsabili del contagio e finiti sotto lo schiaffo della giustizia, ci sono false credenze e abbagli collettivi, c’è la prova scientifica discreditata e ridotta a colpa e truffa, c’è una narrazione consolatoria, slegata dal dato di realtà, che ubriaca un po’ tutti e che intreccia pensiero magico, identitarismo, complottismo, un mal riposto senso delle radici e (in questo caso) la spietata brutalità della post verità e delle mistificatrici “camere dell’eco” sui social network. Il tutto poi – e il capolavoro al contrario di questa storia sta in questo – assorbito, digerito e riproposto come linea guida fino ai massimi livelli istituzionali, magistratura in primis. C’è, insomma, tutto quello che concretamente ha poi consentito al batterio killer di divorare ulivi e chilometri, in poche parole: la più grande epidemia vegetale del mondo.

Daniele Rielli, "il fuoco invisibile"

Daniele Rielli nel suo “Il fuoco invisibile – storia umana di un disastro naturale” (Rizzoli), dall’altroieri in libreria, la chiama «storia archetipale»: negare anche davanti all’evidenza scientifica che un batterio sta ammazzando gli ulivi e che va applicato il principio di massima precauzione, o persino ipotizzare bizzarri complotti orditi da chissà quale agente esterno a danno del Salento, è qualcosa che va oltre il banalmente falso e stupido. «Più una storia è in grado di intercettare un nostro archetipo primario, più è probabile che diventi un grande successo, perché genera in noi un’accettazione che supera i distinguo, i dubbi di opportunità, le perplessità razionali», diventa insomma una storia «con un afflato metafisico che ci cura»: l’archetipo primario, qui, è il legame ancestrale, sacro e allegorico, prima ancora che produttivo e paesaggistico, con l’ulivo. Ed è questo l’altro solido filo del libro, affrontato e sfaccettato in più modi: il più lampante sta nella trama parallela del racconto, cioè la preoccupazione di Rielli e del suo papà (salentino di Calimera) per gli ulivi di famiglia, che sembrano essere molto più di pur preziose madeleine lontane oltre un migliaio di chilometri. Lo stesso titolo ricorda un sogno del nonno, «l’unico caso che mette alla prova le mie convinzioni»: un grosso ulivo della sua campagna completamente bruciato, ma senza fiamme, consumato – appunto – da un fuoco invisibile. Quasi una premonizione. Di sicuro, la storia “personale e familiare” è come un mantello di velluto che si srotola in parallelo, discreto, non invadente, ma ben presente. E che tempera le inevitabili e doverose spigolosità: da una parte Rielli bastona senza remore i negazionisti, viviseziona senza pietà le macroscopiche contraddizioni di alcuni magistrati, si allea con la scienza e con i protocolli internazionali, indaga sullo stato dell’olivicoltura salentina; ma lì, dall’altra parte e in sottofondo, c’è sempre la partecipazione romantica («Ha a che fare con l’anima») alle sorti degli ulivi, di famiglia e non solo.

In questo modo, Rielli aiuta a spezzare la dicotomia tossica che s’era impadronita per anni del dibattito: i tutori degli ulivi di qua e gli sterminatori pro-abbattimenti di là. Quando invece prima di tutto la scienza voleva proteggere il maggior numero di alberi.


Il libro è profondamente documentato, con meticolosità a tratti scientifica, ma non è un saggio. È puntuale nella ricostruzione, seppur non del tutto esaustivo, ma non è un prodotto giornalistico in senso stretto. È un racconto sul filo delle emozioni, ma non è finzione. È una galleria di personaggi, un viaggio empatico perché le storie camminano innanzitutto sulle gambe di donne e uomini, ma non concede nulla alla retorica. “Il fuoco invisibile”, insomma, è tante cose. Rielli, giornalista e scrittore 40enne nato a Bolzano, ha all’attivo cinque libri e un bel po’ di collaborazioni con testate nazionali. Conserva da sempre un legame intimo col Salento, terra di vacanze dall’infanzia, di amicizie e di reportage. Oltre che terra indagata già con “Lascia stare la gallina”, romanzo tremendamente “verista”. Proprio questo sguardo ibrido, dentro-fuori, è una specie di architrave e valore del libro. L’autore s’è interessato a xylella dal 2015, dapprima per le già citate ragioni familiari, poi per curiosità e infine quasi per un moto inerziale che lo ha portato inevitabilmente a sviscerare una storia emblematica, che ha in sé molto, moltissimo di questo Paese e di questo tempo. 


Di nomi e cognomi già ben noti su questo giornale, nel libro ce ne sono in abbondanza. Tutti parte nobile o molto meno commendevole di un presepe a tratti surreale, perché la realtà nell’emergenza xylella ha scelto di incasellarsi stabilmente nel dramma e nella farsa. Ci sono allora gli scienziati del Cnr di Bari, eroi silenziosi e martiri involontari, che «vivono proprio per momenti come questi: per strappare dei segreti alla natura e per dare una mano alle persone»: il sacrificio, il tormento, le storie personali, lo stupore perché non possono sapere che scoprendo il batterio «hanno aperto un vaso di pandora i cui veleni travolgeranno le loro vite».

Tra loro c’è Giovanni Martelli, il capostipite ritenuto dalla comunità scientifica «il miglior virologo vegetale al mondo», eppure bistrattato. C’è Donato Boscia, l’infaticabile dirigente del Cnr che per primo tocca con mano le bruscature sugli ulivi salentini, uomo pratico e ironico. C’è Maria Saponari, schiva, introversa e talentuosa, «la nostra Messi». Ci sono pure le ottuse manomissioni del loro lavoro e delle dichiarazioni di luminari internazionali come Alexander Purcell, a cura dei negazionisti e a cascata della stessa magistratura. E c’è la feroce condanna del crescendo di autoconsolazione cospirazionista di chi – venuto dal nulla e senza alcun sapere: i nomi ci sono – non ammette l’esistenza e la pericolosità di xylella, tra affermazioni indimostrate, «frasi apodittiche e “ti rovescio la domanda”». Impietosa è la polaroid delle pm titolari della kafkiana inchiesta penale, tra incongruenze, salti logici e forzature, e la stessa ordinanza che portò al sequestro degli alberi (e allo stop del piano di contenimento) è dissezionata con puntiglio. C’è pure un’ampia riflessione sull’olivicoltura salentina, di per sé non attrezzata a fronteggiare il flagello, e qui s’innestano voci – come quella di Giovanni Melcarne, agronomo e frantoiano – di chi non solo ha colto da subito il senso dell’emergenza, ma da tempo cerca di immaginare una nuova prospettiva.

Il giallo

Manca qualcosa? Nulla, o quasi. La colpevole, a tratti dolosa, latitanza o doppiezza delle istituzioni e della politica è certo denunciata nel libro, ma ci sarebbe da dire molto più di quanto è riportato. E la narrazione negazionista e cospirazionista, per fortuna, non ha infatuato in blocco proprio tutto il Salento: una quota di “resistenti”, poi crescente, c’è sempre stata. Anche nei mass media (consentiteci). Ma “Il fuoco invisibile”, come detto, non ha pretese enciclopediche. E va benissimo così: il segno profondo del libro comunque resterà. In fondo però è anche un giallo, a ben vedere: c’è un omicidio plurimo, e i colpevoli li troverete agevolmente tra le pagine di Rielli. Intanto, la nostra manzoniana “colonna infame” di questa storia, a perenne dannazione, è lì. E sono i milioni di ulivi morti.

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