La filosofia per bilanciare le “intemperanze" dell’intelligenza artificiale

La filosofia per bilanciare le “intemperanze" dell’intelligenza artificiale
di Nemola ZECCA
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Mercoledì 3 Aprile 2024, 05:00

C’è chi la definisce aumentata, apprezzandone le proprietà di supporto che fornisce all’umano; chi, limitandosi a constatarne la natura immateriale, la definisce virtuale. E chi, come la ricercatrice australiana Kate Crawford, non la qualifica né come intelligente né come artificiale. 
La rilevanza delle implicazioni sociali e politiche prodotte dall’IA (acronimo di Intelligenza Artificiale) sono, oggi più che mai, al centro di un ampio dibattito. In un contesto, come l’attuale, che non può più esimersi dal fare i conti con una “algocrazia” sempre più imperante, interrogarsi sulle potenzialità e, soprattutto, sui rischi legati ad un utilizzo pervasivo dell’IA rappresenta un’esigenza imprescindibile per quanti considerano la riflessione intorno all’essere e alla sua coscienza il punto di partenza per la definizione dell’umano. Sono i principali temi al centro di “Umano, poco umano. Esercizi spirituali contro l’Intelligenza Artificiale” (Edizioni Piemme, 2024), il nuovo libro del filosofo Giuseppe Girgenti, scritto a quattro mani col giornalista Mauro Crippa. Passando in rassegna le cause e gli effetti che una sostituzione tecnica apporterebbe, se mal gestita, alla nostra interiorità, i due autori, volgendo lo sguardo al passato piuttosto che al futuro, forniscono al lettore strumenti di resistenza psicologica e culturale contro l’imperversare inesorabile della tecnica.


“Umano poco umano”: un titolo che, parafrasando una celebre opera di Nietzsche, parla già da sé. Il vero rischio dell’IA risiede nella disumanizzazione cui ci espone? 
«Nella filosofia nietzschiana, il superuomo oltrepassa ciò che è umano. A questa forma di evoluzione biologica, noi, parafrasando il titolo dell’opera, abbiamo deciso di contrapporre quella che riteniamo essere non un’evoluzione, quanto piuttosto la sostituzione tecnica dell’umano. Oggi si assiste a un graduale svuotamento delle capacità affettive e relazionali di un uomo che, dalle macchine, è sempre più dipendente».


In che modo il dilagare dell’IA può influire sul sistema di produzione? Siamo davvero di fronte ad una nuova forma di capitalismo “cybernetico”?
«Il discorso è geopolitico: ad oggi, mentre in Occidente le principali piattaforme di IA sono nelle mani di gestori privati, che le utilizzano a scopo di profitto, nel Blocco Asiatico sono nelle mani dello Stato, che le impiega per altre finalità non certamente più virtuose (penso, ad esempio, agli obiettivi militari). Non è, dunque, possibile regolarizzare l’uso dell’IA se non formulando norme che incidano a livello internazionale. Ecco perché considero la recente legge varata dall’Ue in tema di IA un’iniziativa lodevole, ma di poco impatto».


Sam Altman, Ceo di Open IA, dice di non riuscire a dormire la notte pensando ai rischi e all’assenza di regole legati all’intelligenza artificiale. È ormai troppo tardi?
«Non è mai troppo tardi. Tenuto conto che lo sviluppo tecnologico non può essere arrestato, occorrerebbe pensare a regole di carattere universale che pongano limiti all’uso dell’IA e che, soprattutto, affidino, in modo esclusivo, all’uomo la possibilità di prendere l’ultima scelta; cosa, questa, che un sistema programmato non può certo fare».


La tecnica, dacché ha iniziato a diffondersi con la nascita della scrittura, è sempre stata foriera di timori per i rischi ad essa legati. In che modo la paura di oggi è diversa rispetto a quella del passato?
«L’alta velocità di sviluppo dell’IA reca con sé una finestra di adattamento per noi umani estremamente ristretta. C’è, poi, un altro fattore degno di nota: le tecnologie IA possono analizzare e gestire una vastissima quantità di dati, che, per l’uomo, è inimmaginabile. Ciò equivale, in un certo senso, a delegare alle macchine un potere esclusivo, con tutte le conseguenze che ne derivano».


C’è un antidoto?
«In un contesto che vede l’IA mettere sempre più a rischio l’intelligenza naturale dell’uomo (relazionale, calcolata, creativa), la soluzione è volgere lo sguardo al passato, nella speranza di ritrovare negli insegnamenti della filosofia classica le radici etiche e ontologiche dell’essere Uomo».

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