L'intervista/Michele Emiliano
«Spazio ai sindaci nel Pd
Renzi segretario e premier»

L'intervista/Michele Emiliano «Spazio ai sindaci nel Pd Renzi segretario e premier»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 16 Giugno 2013, 20:08 - Ultimo aggiornamento: 18 Marzo, 11:15
LECCE - Michele Emiliano, sindaco di Bari e presidente del Pd pugliese: agli amministratori chiesto un surplus d’impegno e di sacrifici. E la rivolta cova sotto la cenere. Pronti a restituire virtualmente le fasce tricolori?

«L’attuale situazione è la conseguenza dell’inefficienza dei governi centrali, che da 20 anni in Italia non creano sviluppo e visioni del futuro. E vale sia per la destra che per la sinistra, che al massimo hanno saputo gestire le risorse. Naturalmente questo provoca una caduta di prestigio di chiunque si misuri col compito di premier, e ne sono usciti tutti a pezzi: gli italiani sono consapevoli che se un governo non ci fosse, non cambierebbe niente. Noi sindaci dobbiamo molto in termini di successo all’inefficienza dei politicanti romani, ma è chiaro che c’è anche la nostra capacità di far funzionare le città a prescindere da tutto: i Comuni sono la più antica forma di politica che l’Italia conosca».

Questo governo, dove pure siede l’ex presidente dell’Anci, sta lanciando segnali confortanti ai sindaci?

«Non mi pare. Stanno pensando di eliminare l’Imu, ma a spese dei Comuni: una presa in giro».

L’allarme sociale s’alza, soprattutto al Sud. I territori reclamano interventi, gli enti locali anche. Imputa eccessiva staticità al governo, e al suo partito?

«Se davvero volessero governare, farebbero una rilevazione di tutti i prezzi dei beni principali e si renderebbero conto che il reddito degli italiani è crollato del 30% e non riesce a reggere il tenore di quei costi. Basterebbe porsi il problema del come consentire ai commercianti di pagare gli affitti, agli imprenditori di onorare gli stipendi, ai cittadini di avere servizi essenziali. Invece ognuno tira acqua al suo mulino: il governo è preoccupato solo di sopravvivere, Berlusconi di salvarsi dalle beghe giudiziarie, la classe dirigente del Pd che non ha un’occupazione extra-politica teme di dover andare a lavorare, e nessuno ha il coraggio - anche a costo dell’impopolarità o di mandare a quel paese l’Ue - di ridisegnare i valori economici, con una redistribuzione del carico fiscale e del reddito».

Cosa che lei ritiene non possa fare il governo Letta. Ecco: esecutivo in vita a condizione che...?

«Nessuna. Le larghe intese servono solo a preparare le elezioni, non le rivoluzioni. Per questo il prestigio del governo è così basso: deputati e ministri si intrattengono per sopravvivere e tirare avanti. E invece ci vuole un premier eletto dai cittadini».

Un premier espressione del partito dei sindaci, magari: le amministrative segnalano al Pd il valore dei territori. E i primi cittadini hanno un passo diverso. I vertici nazionali lo stanno capendo?

«Il Pd gioca ad ammazzare i sindaci: siamo considerati dall’establishment del partito un po’ matti, ma necessari per i voti che portiamo, oppure dei populisti, o degli uomini fortunati perché più amati del politicante romano. Ma semplicemente siamo a disposizione per ventiquattr’ore ed esposti al giudizio di tutti. Chi di noi supera un esame del genere, soprattutto al Sud, e regge il ruolo dopo l’investitura su un programma preciso, fa un’esperienza che lo trasforma in leader. E sa come si parla alla gente, come si costruisce un programma e una campagna elettorale connettendosi alle cose da fare durante il mandato. Tutta roba inesistente per il politicante medio romano».

Invoca il Pd dei sindaci. Altrimenti?

«I sindaci sono lì che mordono la classe dirigente spompata, ma che purtroppo resiste. Tanto che c’è chi vuole norme diverse dello statuto per fermare Renzi: hanno paura che stravinca e faccia dell’Italia un Paese in cui chi è al governo cambia le cose per davvero».

È diventato renziano?

«I valori in campo sono chiari. Al di là dell’antipatia o della simpatia, bisogna lavorare con lui e col Pd nel suo insieme. Renzi è bravo, e si sta sforzando di costruire un rapporto col partito, non ha mai perso la calma. E la sconfitta alle primarie gli ha fatto bene, ha dato prova a chi - come me - non si fidava che è pronto a lavorare col Pd. Ma il partito deve capire che senza leadership forti non si costruisce un progetto di successo, e che queste regole per arginare le leadership non possono essere attuate. Il Pd ha scelto le primarie aperte perché fossero il luogo in cui individuare la leadership che tutti gli italiani desiderano. Invece vedo una riedizione del passato, col tentativo di frenare Renzi: vogliono creare un partito conflittuale con la leadership, quando invece lo statuto si sforza di superare questo meccanismo. E vogliono separare le figure di segretario e premier, in modo da perpetrare la solita, stanca classe dirigente».

Lei vuole Renzi segretario e candidato premier. Ma il sindaco di Firenze può stare nello stesso partito di Barca o Bersani?

«Non c’è nessuna incongruenza. È il candidato premier, col suo programma, che deve tenere insieme tutti gli elementi e farne una media ponderata».

In Puglia il congresso come dovrà svilupparsi? E vede già personalità in grado di guidare il Pd?

«La linea del partito è corretta, in questa fase. Stiamo faticosamente tentando di dare una mano a Vendola, senza farci schiacciare. Abbiamo evitato che Nichi applicasse la sua tecnica di un tempo, cioè la cooptazione degli assessori: abbiamo la possibilità di dimostrare ai pugliesi che siamo leali, ma che soprattutto abbiamo un nostro pensiero di governo. Il congresso? Penso possa essere unitario, siamo compatti ed è tornato il sereno. E se ci sarà unità su Renzi, penso sia possibile confluire tutti sulla mozione di un candidato renziano».

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